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Size matters


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Le dimensioni contano, almeno in alcuni frangenti. Il mercato del vino, tanto per dirne una, è governato dai grandi marchi, a volte noti al pubblico (come Zonin), a volte meno (come CaViRo, che produce tra gli altri il Tavernello), e non certo dalle piccole cantine.

Assistiamo così da una parte all’elogio dell’artigianato italiano, nel cibo, nel vino, nella tecnologia, e dall’altra nel sempre più evidente dominio delle multinazionali nel decidere la linea del mercato.

Una società grande ha la possibilità di fare pubblicità sui canali generalisti (TV e giornali), di partecipare a più fiere contemporaneamente, di dedicare un intero ufficio allo svolgimento delle pratiche burocratiche che diventano sempre più assillanti e pesanti.

Il piccolo imprenditore, l’artigiano, d’altra parte vengono presi come stereotipo del Made in Italy, come esempio da copiare per la capacità di differenziarsi ed offrire prodotti di qualità.

Per storia e geografia, e questo discorso l’ho fatto più volte, l’Italia è il paese dei Comuni, non è una nazione.

E’ una collezione, diceva bene Flaiano.

E’ un paese dove gli stessi biscotti fatti in casa vengono chiamati in modi diversi anche a soli venti chilometri di distanza.

Abbiamo centinaia di varietà di uve da vino, Il Registro Nazionale delle Varietà delle Viti riporta ben 497 tipologie differenti di uve, tra vitigni principali e loro cloni. Merito delle differenze climatiche e geologiche del terreno italiano, merito di tradizioni che si differenziano da un posto all’altro, merito della migrazione di popoli e della contaminazione con altre culture.

Le prime 25 aziende vinicole italiane per fatturato producono 8,4 milioni di ettolitri, ossia all’incirca un quinto di tutta la produzione italiana, con 3,7 miliardi di € di fatturato (dati al 2012, fonte dati Area Studi Mediobanca). La cantina Zonin, ad esempio, è al sesto posto per fatturato, con una produzione di 322.500 ettolitri.

Quindi, perché prendersela con i piccoli produttori di vino che, quando va bene, riescono a produrre un migliaio di ettolitri?

E’ necessario vedere come va il mercato delle vendite per rispondere a questa domanda.

I dati purtroppo non sono semplici da trovare, le statistiche spesso sono variabili da fonte a fonte e non sempre aggiornati.

C’è però una tendenza ad andarsi a cercare vini meno conosciuti, aumentando di fatto il raggio d’azione di quella nicchia che è il vitigno autoctono; un fattore positivo per il vignaiolo, per il patrimonio ampelografico italiano, per il consumatore che dispone di maggior scelta, ed anche per quei piccoli comuni dove il vignaiolo risiede.

E’ insomma la tendenza del mercato del Terzo Millennio: non più solo un mercato di massa, ma una massa di mercati di nicchia, dove praticamente chiunque può trovare il proprio target di consumatori.

Le affermazioni di Gianni Zonin all’Università di Palermo in occasione della Laurea Honoris Causa, stanno facendo discutere, ma sono, dal punto di vista dell’imprenditore, perfettamente plausibili.

Non certo perché ha paura della concorrenza di viticoltori che, come dicevo prima, riescono a produrre 100.000 bottiglie in confronto ai suoi 32 milioni. 

E’, a mio avviso, la strategia di una impresa che vuole iniziare ad inserirsi nelle nicchie, in quegli angoli dove la propria potenza industriale potrebbe fare la differenza. Questo si può fare in molti modi, uno tra i tanti è demoralizzare il piccolo viticoltore, oberato da innumerevoli impegni legislativi più che in cantina, così da poter acquisire una quota di mercato che, al di là del fatturato, consente di avere quantomeno la propria presenza in quel target di consumatori.

E’ strategia imprenditoriale, dove il grande mangia il piccolo; in un mercato che lascia ormai pochi margini di crescita, per una azienda è necessario cercarsi altri canali ed altri clienti. Zonin potrebbe averli trovati (o almeno essere andato a cercarli) nel mercato delle piccole cantine, di quei viticoltori che producono vino naturale o biologico; come ripeto, è perfettamente plausibile dal suo punto di vista.

In questo sicuramente la Zonin e le altre grandi aziende industriali vinicole, sono aiutate da una legislazione che, sempre più onerosa in termini di tempo per i piccoli e medi viticoltori, sembra fatta apposta per essere rispettata solo dai grandi proprietari industriali, i quali hanno la possibilità di dedicare un intero ufficio alla compilazione dei vari registri delle uve e del vino. 

D’altra parte, abbiamo l’EXPO2015 dove si parla di cibo per il pianeta ma si concede la sponsorizzazione a McDonald’s e CocaCola; abbiamo la TAV che sbanca decine di ettari di campagna per una ferrovia che non servirà assolutamente a nulla.

A questo punto, se i viticoltori, gli agricoltori, gli artigiani, vogliono ancora sopravvivere, per non farsi fagocitare dai grandi marchi (e questo vale per tante altre piccole aziende) hanno solo una possibilità: fare condivisione tra loro, o come si dice oggi, fare rete.

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