Si è conclusa con una condanna, dopo più di dieci anni di ‘carriera’, l’opera di falsificatore di vini di Rudy Kurniawan, che tra il 2007 ed il 2012 ha venduto introvabili (è il caso di dirlo) bottiglie di Borgogna per parecchie decine di milioni di $, guadagnando illegalmente almeno 3 milioni, stando alle prove che fin qui ha raccolto l’F.B.I che lo ha arrestato a marzo del 2012.
Praticamente tutto il vino venduto ai collezionisti da Kurniawan era falso.
Borgogna, ma per finta
La storia inizia più o meno nel 2000, quando Rudy aveva poco più di vent’anni, e se volete la versione lunga potete leggere su Vanity Fair il resoconto di Michael Steinberger, altrimenti seguite me.

La svolta nelle indagini arriva nel 2008, durante un’asta di vini tenuta al Cru, famoso ristorante chic di New York, organizzata dalla Casa d’Aste Acker Merrall & Condit, specializzata in vendita di vini.
Durante quella serata furono vendute, tra le altre, due bottiglie di Dom Perignon rosé ’59, dichiarate di proprietà dello Scià di Persia, e vendute per 42.350$.
Tra le bottiglie all’incanto c’erano alcune casse di vino fornito da un 31enne indonesiano, Rudy Kurniawan appunto, chiamato ‘Dottor Conti’ per la sua predilezione per i vini del Domaine de la Romanée-Conti.
Kurniawan era già noto, visto che era almeno dal 2003 che vendeva vino proveniente dai migliori Domaine di Borgogna; nel 2006, sempre alla Casa d’Aste Aucker, aveva venduto vini per 35 milioni di $; quella sera aveva portato ben 268 bottiglie di vino, tra cui Domaine Armand Rousseau, Domaine Georges Roumier, Domaine Ponsot.. Di quest’ultimo erano in vendita 97 bottiglie.
Quel che nessuno sapeva era che M. Ponsot era presente all’asta, intenzionato a vedere chiaro in una storia che faceva acqua da tutte le parti.
Un vino che puzza
Lui stesso aveva avvertito il direttore della Casa, John Kapon, che in quelle bottiglie c’era qualcosa che non andava: non era possibile che esistessero 38 bottiglie di Clos Saint-Denis dal 1945 al 1971, semplicemente perché quel vino era stato prodotto solo dal 1980 in poi. Lo stesso valeva per una bottiglia di Ponsot Clos de la Roche del 1929, visto che la prima annata di quel Gran Cru era stata la 1934.
Probabilmente mister Kapon aveva capito che la telefonata con cui Ponsot l’aveva messo sull’avviso poteva avere un fondo di verità e, nonostante le bottiglie comparissero nel listino, a metà serata annunciò che per alcuni disguidi il vino di Ponsot non sarebbe stato messo in vendita.
Laurent Ponsot quella sera era presente all’asta in incognito; visionò le bottiglie, poi si diresse direttamente alla sede dell’FBI dove iniziarono le indagini, fino all’arresto l’8 marzo di quest’anno.
La posizione di Kurniawan si fece subito critica, visto che non solo i federali sequestrarono la sua posta ed i suoi computer, dove erano registrate le vendite, ma scoprirono in cantina una vera e propria centrale di falsificazione, bottiglie vuote, tappi ed etichette false, pronti per essere riempiti di vino qualunque e vendute come preziosi tesori.
Business del falso d’autore
Il business delle aste del vino è un affare di svariati milioni; nel 2000 in tutto il mondo sono stati battuti 92 milioni di $ di vino, per arrivare a 478 milioni di $ nel 2012; ovvio che questo giro di soldi facesse gola a falsificatori più o meno abili.
Fece epoca, e ne parleremo in un altro post, la vendita da parte del collezionista tedesco Hardy Rodenstock, di quattro bottiglie chiamate Thomas Jefferson, perché erano certificate come appartenute al terzo presidente degli USA; furono acquistate da Bill Koch alla fine degli anni ’80, e quando si rese conto che erano false spese svariati milioni di dollari per assicurarlo alla giustizia e per combattere quella che aveva tutta l’aria di una corsa al gonzo enoico.