Arriviamo finalmente all’ultimo post su ViniVeri 2013, gli assaggi dei vini della Georgia.
Il pattuglione è ben rappresentato da dieci produttori, una discreta affluenza ai banchi d’assaggio ma senza ressa.
In generale i loro vini non mi sono dispiaciuti, i bianchi più bevibili dei rossi, comunque tutti non più in là del 2010, se non vado errato.
I rossi erano quasi tutti chiusi, alcuni troppo duri per essere definiti piacevoli, altri troppo freschi ma con buone potenzialità.
I bianchi erano tutti molto ‘orange wine’ grazie alla lunga e tradizionale permanenza sulle bucce, dai 6 agli 8 mesi, e niente legno.
Anche qui ho trovato note piuttosto acerbe su alcuni, troppo tanniche su altri; dopo l’ennesimo assaggio ho dovuto sospendere e passare ad altro, rischiavo di non trovare più differenze tra un vino ed un altro.
I bianchi sono stati tutti caratterizzati da un aroma di terracotta e di buccia d’arancia grattugiata, la differenza tra i produttori è soprattutto sulla lunghezza e sulla pulizia di questi profumi.
In particolare mi sono piaciuti i vini di Iago Bitarishvili e quelli del Monastero di Alaverdi, più godibili i primi e con una buona scelta di vitigni e blend, più maturi e complessi i secondi, ed i vini di Pheasant’s Tears, di buona complessità e forse più maturi degli altri.

Iago Bitarishvili, di Iago’s Wine, è una azienda situata nel territorio di Kartli, situata immediatamente ad est del centro della nazione, e produce 2500 bottiglie di Chardakhi, in più versioni. Iago è stato il primo produttore georgiano a certificarsi biodinamico. Lieviti naturali, fermentazione in anfore interrate, affinamento iniziale ancora in anfora e poi in acciaio per 24 mesi. Solforosa aggiunta inferiore ai 50 mg/l.
Il Chardakhi Chinuri 2012 riporta in etichetta la scritta ‘With Skin Contact’, 8 mesi di macerazione sulle bucce. Gli aromi sono intensi ed abbastanza ampi, su tutti, e questa sarà una caratteristica di questi vini, un profumo di terracotta, argilloso, che però svanisce dopo poco lasciando comparire la nespola e la noce, la susina e l’albicocca, con una traccia vagamente acida. Al palato l’opera di macerazione sulle bucce si sente tutta, l’astringenza è quella tipica di un orange wine, con una buona freschezza che rende il vino piuttosto gradevole.
Il successivo è il Chardakhi Chinuri 2011, al naso più pulito del precedente, la nota acida non c’è, e la prevalenza è quella di frutta secca e camomilla, poi ancora albicocca. La nota terrosa è presente ancora, mitigata dalla miglior pulizia aromatica.
Al palato ha le stesse caratteristiche del 2012.
Dopo questi due, si passa al Chardakhi Mtsvane 2012, un altro dei vitigni del Kartli.
Al naso non differisce molto dai due Chinuri di prima, ma ha in più una bella mineralità e spezie più pronunciate. Anche in bocca è più accentuata la parte sapida, molto gradevole insieme all’acidità di questa zona. Rinfrescante, una buona beva che meriterebbe più tempo per l’ossigenazione.

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