Chianti, I vini della Toscana, Il vino della Storia, Note di degustazione

Le Stinche Vigna Castello di Lamole 2006

Un paio di anni fa, approfittando di un fine settimana ad Arezzo ho avuto modo di visitare il piccolo paese di Civitella in Val di Chiana.

Storie di guerra

Il paese si presentava lindo, è la parola più giusta che mi viene in mente, come la cucina di una massaia coscienziosa, la fontana centrale da poco rimessa a nuovo, il porticato tirato a lucido, i portoni e le imposte delle case che parevano verniciate di fresco.

Civitella in Val di ChianaInsieme a noi un gruppo di francesi con bambini al seguito; la giornata di sole ed il grande spiazzo centrale avrebbero invogliato chiunque a correre sul pavimento di cotto, ma quel giorno l’atmosfera del paese era austera, compresa, come un vecchio che aggrotta le ciglia pensando a fatti lontani.

Non c’era tristezza, in giro, solo si parlava a bassa voce come dentro una cattedrale o un posto sacro; il giorno dopo ci sarebbero state le celebrazioni per il ricordo dell’eccidio del 29 giugno 1944 di 115 tra uomini, donne, bambini, anziani, da parte degli squadroni tedeschi  Altri 58 furono trucidati a Cornia e 71 a San Pancrazio.

Camminavamo, la mia compagna ed io, muovendoci tra i vicoli che spuntavano dalle scale che portavano in alto nel paese, piccoli negozi e portoni di abitazione, piccoli spiazzi dove i bambini sembravano quelli di quarant’anni addietro, giocando a saltare la corda o con le figurine.

Ci arrampicammo fin sul castello, distrutto dai bombardamenti americani per stanare il comando della divisione “Hermann Goring”, una rocca longobarda del IX secolo che divenne anche la sede del visconte della Valdambra.

Come ogni piccolo borgo toscano, anche Civitella si trovò spesso al centro di battaglie tra Siena, Arezzo e Firenze, grazie alla sua strategica posizione lungo la strada dei mercanti che collegava la Val di Chiana alla Valdambra.

Ma la lapide, sulle mura della città, ricorda i morti del giorno di San Pietro e Paolo del ’44, trucidati dalla ferocia nazista e dai fucili dei soldati tedeschi.

E storie di vino

Scendendo dalla rocca abbiamo continuato a camminare, salendo vicoli scaligerati, scendendo viottoli acciottolati, fino ad imbatterci in una piccola enoteca dove abbiamo deciso di sostare.

Le Stinche 2006Con Mirko, il figlio del proprietario, abbiamo iniziato a scambiarci opinioni asciutte, che hanno raggiunto una loro concretezza quando ha tirato fuori da sotto al bancone un bottiglione di vino rosso, indiscutibilmente un Chianti dal colore e dal profumo, di una gradevolezza alla beva che raramente si ritrova in molte altre etichette.

Un classico vino del contadino, un Chianti dove era immediata la potenza del sangiovese, l’estratto del colorino e la morbidezza del trebbiano, un vino rinfrescante da bere fuori dal locale, con il bicchiere in una mano ed una fetta di pane sciapo e capocollo nell’altra.

Non sono andato via a mani vuote, da lì.

La tranquillità del luogo, il suo panorama a guardia delle due valli, il ricordo della distruzione di sessanta anni addietro e la ricostruzione del paese, facevano scendere su di me e, a quanto vedevo, su ogni altra persona in visita, un senso di responsabilità e di consapevolezza sul potere di distruzione e ancor più di costruzione che l’essere umano può avere ed ha.

In ricordo, ho portato con me una bottiglia di Vigna Castello di Lamole, Le Stinche Chianti Classico DOCG 2006.

E’ un Chianti Classico se vogliamo moderno, almeno nella composizione delle uve, visto che possiede una piccola percentuale di merlot.

Fa un affinamento misto, prima in botte grande e poi in vasca di cemento, infine nella bottiglia da dove verrà poi versato nel calice.

Profumo di ribes, ciliegia matura, vegetale di orto, erbaceo di sottobosco più tenue, un’albicocca matura appena accennata, un floreale tenue e delicato di papavero e di rosa.

Al palato i tannini spingono con forza sulla lingua, veicolati dalla acidità rinfrescante, e rimangono fermi solo un attimo prima di lasciare solo il ricordo nel palato, lasciato profumato dalla freschezza del sangiovese.

Nonostante i suoi anni sembra un giovincello esuberante ed assennato, con un equilibrio però già raggiunto e molti anni di evoluzione di fronte a se, un buon compagno di viaggio con qualunque cibo, dalla cacciagione al capocollo, dal prosciutto al formaggio pecorino di media stagionatura.

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