Ghemme

Alcuni vini vengono prodotti veramente in quantità modeste. La zona di produzione è spesso limitata al territorio di un solo comune, e se le rese vengono tenute moderatamente basse, il numero di ettolitri prodotti non consente una capillare copertura del territorio nazionale. Proprio per questo, quando capita di stappare una bottiglia di questo tipo, bisognerebbe prima conoscere bene il vino che si sta per versare.

E’ quello che mi è capitato quando, due anni fa, ho acquistato una bottiglia di Ghemme DOCG del 2000. Avevo già assaggiato questo vino in alcune degustazioni, ma non di questa annata, e chi me lo ha venduto mi ha dato veramente un gran consiglio. Ho approfittato quindi delle feste per stappare anche questa bottiglia che da tempo ormai attendeva di essere conosciuta.

Il territorio vinicolo è di appena 50 ettari, e la produzione va dai 1400 ai 2100 ettolitri l’anno, ossia tra le 180 e le 240mila bottiglie; nel 2005 si sono prodotti 1500 ettolitri di Ghemme DOCG, ossia lo 0.07% del totale regionale del Piemonte (dati FederDOC); è parte del Consorzio di tutela dei Nebbioli dell’Alto Piemonte.

Ghemme è un piccolo paese di poco più di 3600 abitanti, in provincia di Novara, in cui operano numerose aziende agricole; una delle principali attività è la produzione di miele, in particolare quello d’acacia, considerato uno dei più fini e puri di tutta Italia.

Dunque, vino e miele, insieme al pane, sono i prodotti principali di Ghemme (che nello stemma ha una spiga di grano ed un grappolo d’uva), e questo già fa pensare a qualche abbinamento. Ma andiamo con ordine, ci arriveremo tra poco.

Il territorio intorno al paese è di origine morenica, ossia scavato dal ghiacciaio del vicino Monte Rosa che dopo la Glaciazione si è spostato verso il basso formando la Valsesia. Terreni di questo tipo sono ricchi di minerali, scavati dal ghiaccio e trasportati a valle dalle successive piogge, composti da ciottoli, ghiaia e detriti, e sono terreni sostanzialmente poveri e poco fertili. Questo, anche se può sembrare un paradosso, è un terreno tipico ideale per la vite, che per esaltare le proprie caratteristiche non ha necessità di terreni ad alta fertilità.

La parte ad ovest della vallata, sulle rive del Sesia, è un terreno più giovane, formato da uno strato argilloso sopra a ciottoli piccoli e morbidi. Ed è proprio il Nebbiolo che trae vantaggio da questo tipo di terreno, essendo questo un vitigno che non vuole una grande vigoria delle piante, per poter trasportare il patrimonio minerale direttamente negli acini e non nelle foglie.

Nel 1969 Ghemme è diventata una DOC e nel 1997 è stata promossa a DOCG, comprendendo il comune di Ghemme e parte del comune di Romagnano Sesia. Il Ghemme DOCG è un vino ottenuto per la maggior parte con uve Nebbiolo, che qui la fanno da padrone; possono concorrere la Vespolina, per un massimo del 25%, e ‘uva rara’, o Bonarda novarese, così chiamata per via del grappolo molto spargolo. Il vino di Ghemme è conosciuto fin dall’epoca di Plinio il Vecchio che parla del vitigno ‘spinea’, da cui probabilmente poi deriverà il nome Spanna, ossia il tipo locale del Nebbiolo.O forse è per il tipo di potatura del Nebbiolo, una potatura appunto lunga una spanna.

Il vino di Ghemme era il preferito del principe Sforza, e velocemente per arrivare ai giorni nostri, viene esaltato dal grande Mario Soldati nei suoi lunghi viaggi alla ricerca di storie, di cibi e di vini. Alla ricerca cioè di persone vive. Facendo una digressione, vi invito a leggere il suo saggio ‘Vino al Vino’, e magari qualcuno dei suoi racconti.

Tornando al Ghemme DOCG, dunque, un Nebbiolo a volte in assemblaggio con altre uve locali. E’ un vino che si presta ai lunghi affinamenti in botte grande ed un altrettanto lungo riposo in bottiglia. Possiede, grazie ai minerali del terreno dove nasce, la capacità di poter resistere anche 15 anni ottimamente prima di essere bevuto.

Il vino che qui presento è il DOCG Ghemme Collis Breclemæ 2000 dell’Azienda Antichi Vigneti di Cantalupo, 13.5 % di gradazione alcoolica, abbinato con una lepre al tegame con pomodoro e impreziosita da salvia. In retroetichetta era indicata la sola presenza di Nebbiolo. Essendo un vino

Collis Breclemae Ghemme DOCG 2000

di 11 anni, ho posto particolare attenzione alla sua apertura; il tappo, probabilmente a causa del lungo tempo trascorso in posizione verticale dalla bottiglia, era rimasto leggermente incollato alle pareti

Il tappo in ogni caso era perfettamente pulito al naso. Non appena stappata la bottiglia, ho aspettato che eventuali residui solidi che si potessero essere sollevati durante l’operazione di stappo si depositassero nel fondo, dopodichè ho riempito all’incirca metà calice. Questa operazione serve, in vini piuttosto longevi, sia per assaggiare il vino che dopo una non perfetta conservazione in bottiglia potrebbe aver preso profumi e sapori non piacevoli, sia per aumentare l’ossigenazione del vino stesso in bottiglia, aumentando la superficie esposta all’aria.

Si presentava con un colore rosso granato, compatto e profondo. L’olfattiva faceva subito salire profumi di pelle bagnata e terra, e poi carruba e caffè. Ad un secondo passaggio, con una buona ossigenazione nel capiente calice da me usato, erano presenti anche profumi di violetta e di tamarindo, ed una nota di erba medicinale. Il primo assaggio è stato molto breve, per abituare il palato ai sapori di questo vino. Il secondo assaggio, più corposo, ha reso subito evidente l’esistenza di un tannino leggero e non aggressivo, anche dopo dieci anni in bottiglia di cui tre trascorsi in botte. Di leggera sapidità, l’importante gradazione alcoolica non si avverte se non dopo la deglutizione con una gradevole sensazione di calore, un vino abbastanza morbido nonostante il lungo affinamento.

Al termine, una leggera nota amarognola lasciava insieme la bocca fresca e profumata, e durante il pasto è stato un degno compagno della lepre, soprattutto accompagnando bene il leggero sapore della salvia con cui era stata impreziosita la carne. La bottiglia non è terminata alla fine della cena, quindi l’ho attentamente ritappata e dopo un paio giorni l’ho finita accompagnando del Taleggio con miele d’acacia, sebbene non di Ghemme. L’abbinamento è da consigliare sicuramente, ma soprattutto il vino, dopo altri duee giorni di ossigenazione, con un tappo non più sicuramente ermetico, ha prodotto gli stessi profumi della prima stappatura, sebbene con una nota più intensa ed austera; l’ossigeno aveva reso il tannino ancor più rotondo, l’alcolica era quasi scomparsa dando spazio alla morbidezza ed alla sapidità delicata e non impetuosa del vino.

Ora, l’unica cosa che mi rimane da fare, è comprarne un’altra bottiglia.

4 pensiero su “Collis Breclemae 2000 DOCG Ghemme”
  1. In effetti non era stupore, ma una constatazione. Mi è scappato un ‘anche’ di troppo nello scrivere. Grazie del tuo passaggio.

  2. aggiungiamo che Breclema era un antico villaggio romano, di cui si sono interamente perse le vestigia. Alberto Arlunno produce questo vino di classe cristallina sui terreni che ospitarono l’insediamento dei nostri antenati.

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