PicarielloOltre la ben nota vicenda che sta coinvolgendo Maurizio Gily vs l’Espresso, di cui già ho parlato qui, e che ha dato origine ad una sottoscrizione per aiutare Maurizio per il ricorso alla sentenza di primo grado, un’altra questione è arrivata nelle Top News dei wine blog.
La LVMH, proprietaria a Reims del Veuve Clicquot, ed il produttore MHCS, hanno accusato il produttore di Summonte Ciro Picariello di aver copiato il colore (si, il colore) dell’etichetta del suo Brut Contadino, uno spumante ottenuto interamente da Fiano.
Il colore delle etichette dello champagne di VC è effettivamente sottoposto a copyright, è definito Pantone 137c Yellow e, a sentire LVMH, rende riconoscibile il loro prodotto e dunque può essere utilizzato solo da loro.
Vista la sproporzione tra le due aziende, la vicenda sembra ancor più stravagante, tranne probabilmente per Picariello che si vede arrivare una notifica legale dal produttore di Veuve Clicquot.
Veuve ClicquotVengono prodotte 3500 bottiglie l’anno di Brut Contadino, contro i 18 milioni di VC, per un giro d’affari di poco più di 1.5 miliardi di dollari.
Altre informazioni le trovate anche sul sito di Etichettopoli, da dove si capisce che MHCS non è nuova a far agire i propri avvocati per difendere il colore delle proprie etichette. Anche siti internazionali hanno parlato della vicenda, francamente ridicola.
Su Twitter potete leggere alcuni commenti e articoli in merito alla questione, tutti rintracciabili tramite l’hashtag #boicottalavedova.

Per quel che riguarda invece la questione l’Espresso contro Gily, ho trovato un articolo di Steve Heimoff piuttosto interessante; l’argomento non è il vino ma la fattispecie è simile, credo.
La blogger americana Crystal Cox in un post del suo blog ha accusato una compagnia di consulenza finanziaria, la Obsidian Finance Group, di ‘frode, corruzione ed altri comportamenti similari’.
La compagnia ha immediatamente denunciato per diffamazione la Cox; la Nona Corte di San Francisco ha invece assolto la blogger sulla base del 1° emendamento della Costituzione americana, che difende la libertà di espressione e di stampa; una interpretazione della Corte Suprema (l’equivalente della nostra Corte Costituzionale) aveva già precedentemente stabilito che per ‘stampa’ si intenda ogni tipo di pubblicazione che serva a veicolare informazioni ed opinioni.
La Corte ha dato ragione alle argomentazioni della difesa che sosteneva che un blog ha la stessa funzione dei media tradizionali (stampa, televisione), sebbene non sia formalmente una testata giornalistica ed anche se il blogger non ha né istruzione giornalistica né un editore che effettui il controllo delle notizie.
Anzi, continua la Cox, i bloggers sono uguali ai reporters del New York Times, ad esempio, e quindi se una testata giornalistica può muovere accuse ad un pubblico ufficiale o ad una compagnia privata, la stessa cosa può essere fatta da un blogger.
Al contrario di quel che è accaduto con la sentenza di primo grado che ha condannato Maurizio Gily per diffamazione, quindi, la Corte di San Francisco non è entrata nel merito se la blogger avesse o meno ragione, ma ha semplicemente stabilito che aveva tutto il diritto, essendo una blogger di investigazione (come lei si auto-descrive), di pubblicare quel che ha scritto.
Ora, è vero che noi non abbiamo un Primo Emendamento, ma anche la nostra Costituzione Italiana tutela la libertà di stampa e di espressione (articolo 21)
Chissà se questa libertà sia valida, in Italia, anche per chi scrive in un blog, soprattutto se sta dicendo cose accertate per vere.

Aggiornamento del 26 gennaio 2014:

Sul blog di Luciano Pignataro è riportata un’intervista a Ciro Picariello dove sostanzialmente conferma la vicenda, sebbene non ci sia stata alcuna denuncia per violazione di copyright.

Sullo stesso post è presente anche la traduzione dell‘articolo di Decanter dove invece viene sentita la casa produttrice dello Champagne. Mentre Picariello afferma che le lettere degli avvocati francesi non erano propriamente amichevoli, i produttori di Veuve Clicquot nell’intervista sembrano molto concilianti, ed affermano che al produttore italiano è stato solo chiesto se, per piacere, poteva modificare le proprie etichette.

La vicenda a quel che si capisce finisce qui, e naturalmente un piccolo produttore come Ciro non può che esserne contento, anche se la ragione è tutta dalla sua parte.

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