Leggo la notizia che il senatore Dario Stefàno, gruppo misto, ha presentato ieri 24 marzo il ddl 2254/16 con cui chiederà di rendere obbligatorio l’insegnamento di ‘Storia e Civiltà del Vino‘ nelle scuole primarie e secondarie. Il ddl è stato inserito il 24 febbraio nei lavori del Senato.

La presentazione è avvenuta in una assemblea presso la Sala Nassirya del Senato, con interventi di  Attilio Scienza, Professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Riccardo Cotarella, Presidente Assoenologi, Domenico Zonin, Presidente Unione Italiana Vini e Sandro Boscaini, Presidente Federvini.

Se il mondo ufficiale del vino ben rappresentato da tali personaggi è naturalmente eccitato per questa idea, alcune associazioni dei consumatori sono decisamente arrabbiate. Vi lascio ai link e altri siti per seguire le diàtribe.

Ora, associare la conoscenza del vino con l’alcolismo, la parte che ha avuto ed ha nella storia e nella cultura italiane, e perché no anche nel business, è quantomeno azzardato. Anzi, forse è proprio il contrario, visto che gli alcolisti non badano certo a ubriacarsi con una Riserva del ’98. E forse conoscere come è fatto il vino, quali sono i suoi effetti e come combatterli, è un’arma in più per combattere la piaga dell’alcolismo. Tuttalpiù, si può rendere l’ora facoltativa, come per la religione: chi vuole la fa, chi non vuole esce e fa programmi alternativi. 

Forse però pensare addirittura di aggiungere un’ora in più di lezione a settimana per far studiare la storia e la cultura enoica è esagerato.

Non è un problema di costi, il ddl prevede un costo di 12,4 milioni annui, ma piuttosto di organizzazione; il numero di ore settimanali è stabilito per legge, aggiungere una materia significherebbe che si dovrà diminuire di un’ora un’altra materia.

Che il vino (come l’olio, o il prosciutto, o la mozzarella) faccia parte della nostra storia, è quasi banale dirlo. Personaggi di primo piano della storia italiana sono stati legati al vino, scrittori, politici, ma se si vuole migliorare la conoscenza della cultura enoica, a me questa non sembra la strada migliore, né la più intelligente.

Ogni comparto sembra vivere di vita propria, slegato da ogni connessione con il resto del mondo che gli gira attorno. Si parla del vino, oppure si parla dell’olio, oppure si parla di storia, oppure si parla di geografia, oppure si parla di arte.

Ma programmi organici, dove alla storia dell’arte si colleghi quella del vino, alla geografia si connetta l’economia, non ne esistono. Ognuno, ogni associazione, consorzio, comitato, lavora con il proprio limitato orizzonte visuale, che spesso si riduce ad un paio di anni, il tempo per le successive nomine o elezioni.

L’iniziativa, che ha un suo pregio di fondo, nasce così già limitata.

Se si vuole valorizzare il vino (che nel 2015 ha portato all’export ben 5 miliardi di €), non lo si può lasciare da solo, e quindi non mi sembra una grande idea istituire l’ora di storia e cultura del vino.

Quel che sarebbe utile, a mio avviso, sono progetti di studio che coinvolgano varie discipline, dalla scienza alla geografia, dall’economia alla storia dell’arte, utilizzando gli strumenti di comunicazione che abbiamo a disposizione tutti i giorni per parlare ed ascoltare esperti e ricercatori.

E’ fondamentale cioè che i programmi siano parte di un progetto comune, per associare la geologia, l’economia, la storia dell’arte, l’agricoltura, che riesca a collegarsi con le nuove tecnologie, le scienze e la matematica.

Continuare a fare iniziative verticali non serve a nulla.

Nell’era della sharing economy, dell’economia condivisa e della condivisione, che senso ha pensare al proprio piccolo orto o vigna che sia?

 

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