La nostra astronauta Samantha Cristoforetti è a bordo della ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, ed i suoi tweet sono a dir poco entusiasti. Le condizioni non sono certo ideali, la stazione è piccola e devono starci in tre, ma gli astronauti sono stati addestrati anche a questo. E’ strano, se ci pensate. Dentro, uno spazio limitato; fuori, uno spazio pressocchè infinito. Le missioni spaziali, per me nato nell’anno di Yuri Gagarin, fanno parte della mia infanzia e mi aiutano a sperare che il futuro di una Terra pacificata e serena non sia troppo lontano. Oppure sperare negli alieni. 

Molti sono i risultati che la ricerca spaziale ha portato anche nella vita quotidiana, se proprio volessimo misurare la ricerca in base ad una logica semplicemente utilitaristica.
Polimeri per la fabbricazione delle tute ignifughe dei vigili del fuoco e materiali da costruzione resistenti al calore, ambienti refrigerati ad energia solare per conservare medicinali anche dove l’elettricità non arriva.
Dalle valvole di pompaggio di carburante dello Shuttle è stata sviluppata una tecnologia per la costruzione dei ventricoli cardiaci nei cuori artificiali, e poi protesi umane costruite con lo stesso tipo di schiuma usata per proteggere lo scafo esterno delle navicelle di rientro.
Miglioramento degli algoritmi di calcolo che rendono i nostri computer più veloci e meno dispendiosi di energia e sistemi di diagnosi medica a distanza.
Le applicazioni sono numerose, e questo vale per ogni tipo di ricerca. Ad esempio lo studio delle particelle atomiche negli anni ’40, una cosa come quella che ha portato alla rilevazione del bosone di Higgs per intenderci, ha condotto all’invenzione della Risonanza Magnetica.
Quindi le argomentazioni dei soliti ignoranti che chiedono che i soldi per la ricerca vadano per “risolvere i problemi che abbiamo qui sulla Terra”, sono prive di senso: questi soldi, e gli sforzi e l’intelligenza delle persone che ci hanno lavorato, vengono GIA’ usati per risolvere i problemi che abbiamo qui sulla Terra, problemi di cui, evidentemente, questi ignoranti fanno parte.

 

Se volete c’è un bel libro, illustrato così tutti possono capirlo anche solo guardando le figure, scritto da Umberto Guidoni (primo astronauta europeo a volare con la NASA) ed illustrato da Andrea Valente. Il libro si intitola Così Extra, Così Terrestre, lo consiglio a tutti soprattutto agli ignoranti di cui sopra. Anche il vino ha avuto la sua parte nello spazio. I cosmonauti, almeno quelli americani, non possono portare alcolici con se; come si legge su Gizmodo, sono stati effettuati alcuni esperimenti sulla Terra in condizioni di gravità zero ma i problemi, più ambientali che di salute direi, erano maggiori degli eventuali vantaggi. I russi sono più permissivi. Però alcool, birra e vino (anche se solo in forma di pianta) hanno avuto un loro piccolo ruolo nella storia spaziale.  

Il primo prodotto alcolico ad aver a che fare con il cosmo fu la birra Sapporo, che nel 2006 produsse circa un migliaio di litri di birra da grani di orzo che avevano viaggiato nel modulo di servizio della ISS. Le confezioni da 6 bottiglie furono vendute in Giappone a circa 110$ l’una, ed il ricavato andò in beneficenza alla Okayama University. Lo scopo finale era studiare i processi di fermentazione per la produzione di birra direttamente nello spazio, pensando alle lunghe missioni che condurranno l’Umanità (a questo punto completamente ubriaca) alla scoperta di nuovi, strani mondi.
La Ardbeg, azienda scozzese di Whisky affumicato nell’isola di Isley, ha inviato nel 2011 alcune fiale contenenti dei terpeni, per studiare cosa accade ai processi di invecchiamento (del whisky) in ambienti a gravità zero.  La Ardbeg, nell’attesa dei risultati, ha prodotto un normale whisky terrestre single malt invecchiato 12 anni, chiamandolo Ardbeg Galileo.

Anche l’Italia fa la sua parte nello Space Wine

Nel 2005 sulla stazione spaziale sono stati inviati alcune barbatelle di Sassicaia nel contesto dell’esperimento VINO, approfittando della presenza a bordo dell’astronauta Roberto Vittori, organizzato dall’ESA, il comune di Frascati, la Strada dei vini Castelli Romani ed il consorzio della denominazione.

L’esperimento fa parte del progetto BACCHIUS, che oltre ad usare le informazioni provenienti dai satelliti per monitorare il territorio vinicolo, dovrà capire come fare per coltivare piante nello spazio, sempre in previsione del lungo viaggio verso Marte.

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