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La Francia del Sud Ovest – Cahors

Siamo arrivati alla fine del giro nel Sud-Ouest francese, ed anche Cahors ci regala qualcosa di diverso, come è stato passando dal Jurançon a Madiran.

Abbiamo percorso quasi trecento chilometri verso nord-est, trovando un clima decisamente più continentale, ma la differenza è soprattutto nelle sensazioni che si respirano girando per cantine e parlando con i produttori.

Cahors, e questo i vignaioli del posto lo fanno notare spesso, è nota fin dai primi del ‘700 come zona di produzione vinicola, mentre la più rinomata Bordeaux era conosciuta soprattutto come porto fluviale verso l’Atlantico e per le azioni di boicottaggio, dicono qui, nei confronti dei vini delle zone più interne del fiume Lot, che arriva prima alla Garonna e poi alla Gironda.

La superficie vitata prima della filossera era di quasi 40.000 ettari, il doppio del Friuli per capirci, e concentrati lungo un tratto del fiume di soli cinquanta chilometri.

Oggi i vigneti occupano poco più di cinquemila ettari, ed inoltre il vino di Cahors non trova una domanda sufficiente sul mercato, cosa che comporta quei circoli viziosi che anche in Italia conosciamo molto bene: riduzioni dissennate di prezzo, scorciatoie per ridurre i prezzi, diminuzione della qualità.

Come è ovvio, questo danneggia quelli che sono tra i migliori produttori della zona, che fanno sempre più fatica a mantenere costante il livello dei propri vini.

Il vitigno più rappresentativo di Cahors è il Malbec che, proprio a causa del progressivo diminuire della domanda locale e per gli strani percorsi delle migrazioni, è divenuto il vitigno caratteristico dell’Argentina che ad oggi ha superato anche l’Australia; è necessario però ogni tanto ritrovare le radici delle cose, e per i vini ed i vitigni non si può fare altrimenti.

Il Malbec è un vino austero, robusto, di buona acidità e carico di colore, tannini in quantità ma di qualità migliore del vicino Tannant, tanto da venir considerato la versione elegante di questo. Fino a qualche decennio fa veniva usato spesso nel taglio dei vini bordolesi, che poi si sono spostati verso vitigni più semplici da gestire.

Il fiume Lot è il fil-rouge dei vitigni di Cahors, con terrazzamenti più ampi lungo le anse più aperte del fiume come quella di Vire-sur-Lot e Puy-l’Evéque e quella di Prayssac. Sebbene non esistano cru nella zona, i vini vengono suddivisi in base alla loro posizione rispetto al fiume, passando dai vitigni posizionati più vicino al fiume, di minor qualità, con terreni fertili e ricchi di depositi alluvionali, ai vitigni a qualche decina di metri di altitudine rispetto al fiume, dove i terreni sono più argillosi, ed infine a quelli posizionati in alto e dove i terreni sono di due tipi.

Dove il terreno è maggiormente argilloso e sliceo si hanno vini più potenti mentre dove il terreno è argilloso-calcareo i vini sono più complessi e più eleganti.

Il clima è semi-continentale, con la valle del Lot che aiuta il continuo passaggio di correnti d’aria che risalgono dall’Atlantico o anche dal Mediterraneo. Le vigne più vecchie sono generalmente esposte a sud, ma ultimamente si stanno piantando vigneti esposti ad est.

E’ raro trovare vini provenienti da una sola vigna, importando la gerarchia bordolese del primo, del secondo e, a volte, anche del terzo vino, ma qui il nome del domaine è in genere dato dal vino base, di solito prodotto con stile più tradizionale, sebbene non sia propriamente naturale, ma certo più interessante si, e prendendo nomi di fantasia per il vino di punta, più modernista e a volte iperconcentrato.

C’è così una ambivalenza di gamma, con prodotti moderni e prodotti tradizionali vinificati in cemento e lasciati maturare in tini di legno grandi e più vecchi.

Se dobbiamo fare qualche nome, dobbiamo sicuramente citare Pascal Verhaeghe dello Chàteau du Cédre, e Jean-Luc Baldés del Clos Triguedina, che ha di fatto riscoperto un vino che era noto a Cahors già nei secoli scorsi,  il Vin Noir, prodotto con uve appassite e passate brevemente in forno per ottenere più morbidezza e concentrazione, un vino che già nel Medioevo veniva usato come medicinale, e che oggi è stato molto rivalutato come specialità della zona, tanto da meritarsi molti siti web dedicati.

Alcuni vignaioli, poi, si dichiarano fieramente integralisti; è il caso di Mathieu Cosse e Catherine Maisonneuve, del domaine Cosse-Maisonneuve.

Il vino che ho avuto modo di degustare è proprio il loro Le Combal 2006, tipico Vin Noir a base di Malbec in purezza proveniente da circa 3 ettari di vigna esposti a nord (!), agricoltura completamente biodinamica e lavorazione in cantina con macerazione di tre settimane sulle bucce, senza aggiunta di lieviti, nessun controllo di temperatura, nessuna microfiltrazione. Rimane ad affinare 14 mesi in botti di primo e secondo passaggio.

Il profumo ricorda immediatamente le prugne secche e la liquirizia, al palato è morbido e alcolico (13°), con un tenue sentore di tostatura dovuto al passaggio nelle botti di quercia, e probabilmente altri due anni di affinamento in bottiglia ne avrebbero addolcito i pochi spigoli rimasti; se fossimo riusciti a trovare il Le Sid del 2001, stessa tipologia di vino ma più strutturato, sarebbe stato  perfetto.

E’ stato perfettamente abbinato con la Cassoulet, il tipico piatto rustico del sud francese a base di salsiccia all’aglio, pancetta affumicata, ala d’oca ed un pezzo di anatra, il tutto ricoperto da uno strato di fagioli e servito in un fumante recipiente di terracotta.

Si conclude così il viaggio nella Francia del sud ovest, di cui porterò con me non solo i profumi dei vini (ed anche qualche bottiglia che man mano sto aprendo), non solo l’aver conosciuto persone magnifiche come Serge, Madeleine, ‘oncle Jacques’, ma anche la bellezza dei suoi panorami e quella leggera malinconia che sempre mi prende quando viaggio tra i vini d’oltralpe.

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