Sull’argomento dei vini NoLow Alcool, con poco alcool o niente del tutto, ho già scritto. È un mercato tutto sommato ancora di nicchia, sia per i vini che per i distillati, ma in crescita: se poi questa tendenza continuerà fino ad arrivare ad una quota significativa del mercato mondiale del vino, non è ancora dato saperlo.
I dati di mercato NoLow Alcool
Per dare un po’ di contesto, vi riporto alcuni dati presi dal report della International Wine and Spirit Record (IWSR) pubblicato a dicembre 2023. Il 70% dei volumi globali di questo settore è rappresentato da solo 10 mercati, Australia, Brasile, Canada, Francia Germania, Giappone, Spagna, Sud Africa, Regno Unito e Stati Uniti.
Nel 2023 il consumo dei vini NoLo è aumentato del 5%, arrivando ad un valore di mercato di 13 miliardi di dollari con una previsione di crescita del 7% dei soli vini no-alcohol, che è il vero prodotto in crescita dal 2019 al 2023. Ricordo, per dare senso a questi numeri, che questo 7% è la percentuale rispetto a tutto il mercato del beverage No-Low alcool, quindi comprese birre e distillati.
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Se confrontiamo questi numeri con i volumi totali di tutto il vino, i vini NoLo rappresentano il 2,5% di tutto il vino prodotto, una porzione che è evidentemente ancora di nicchia. Ma è comunque un mercato in crescita
In questi 10 paesi, in totale, le bevande No-Alcool si prendono il 72% del mercato, in particolare distillati e birre. Negli Stati Uniti il valore del mercato dei drink No-Low Alcool, quindi tutto il beverage, è stato di 11 miliardi dollari, di cui 650 milioni di dollari dovuti al vino NoLo, mentre la sola quota dei vini no alcol è pari a 65 milioni di dollari, il 10%. In questi 650 milioni di dollari si deve considerare anche la quota di vino low alcol usato per la preparazione di drink aromatizzati. Insomma, tutti i dati sono sicuramente da disaggregare, ma certamente l’interesse sta aumentando.
La normativa europea che consente la produzione di questa tipologia di vini è abbastanza recente, la 2177 del 2021. Durante il Vinitaly, il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti, ha detto che in Italia per le bevande NoLow Alcool c’è già un forte interesse, e lo ha stabilito nel 36% dei consumatori.
Testo Unico del Vino da aggiornare
Come dicevo prima l’Italia è fuori da questo mercato perché le aziende vinicole italiane non possono produrre, in Italia, vino NoLow alcol. Non è esplicitamente vietato, ma il Testo Unico del Vino, l’insieme di leggi e regolamenti italiani che forniscono le regole per la produzione del vino, ossia la legge 238 del 12 dicembre 2016, dovrebbe essere modificato in alcune parti, altrimenti chi produce vino no lo alcol sarebbe al di fuori della normativa. Sono solo 8 anni, quindi, ma non c’era motivo, all’epoca, di tener conto dei drink No o Low Alcool
Naturalmente il vino NoLo si trova anche in Italia, non se ne può impedire la commercializzazione, ma non è prodotto da aziende italiane, o almeno non è prodotto in Italia, anche se a volte viene fatto con vino italiano. Sembra un paradosso, tra un momento ci arrivo.
Secondo il ministro Lollobrigida, sempre al Vinitaly, si potrebbe produrre un vino dealcolato ma non si dovrebbe chiamarlo vino, ma questo è contrario alle normative europee, a quelle italiane e anche al buon senso, visto appunto che sempre di vino si tratta. Ma in ogni caso, proprio perché non possono produrlo, le aziende italiane non sono poi così presenti nel mercato, e nei top 10 l’italia non compare proprio. Quindi il problema non si pone, o meglio, si pone il problema che siamo fuori da un promettente settore di mercato. I consumatori questi prodotti li bevono, anche se al ministro non fa piacere.
Vini NoLow da vino italiano
Dicevo prima del paradosso, vini NoLow alcol prodotti con vini italiani ma non prodotti in Italia. Aziende italiane che producono vino dealcolato o parzialmente dealcolato ci sono, ad esempio Mionetto, Zonin, Hofstatter e Frescobaldi, per citare i più noti. Ma non potendo farlo in Italia devono farlo all’estero, ad esempio in Francia, in Germania o in Austria, dove portano il loro vino base, lo sottopongono alla procedura di dealcolazione totale o parziale e poi lo riportano sugli scaffali italiani. Prodotto con vino italiano ma non in Italia. In ogni caso è commercializzato da aziende italiane. Vediamo invece cosa succede negli USA, uno dei mercati di riferimento del vino italiano.
Nel 2023 i supermercati americani hanno venduto oltre 900 milioni di € di vini italiani. Di questa cifra, oltre 390 milioni di € provengono da vini NoLow alcol fatti con vino italiano, quindi uve coltivate e vendemmiate in Italia. Sono però commercializzati da un’azienda americana, che si chiama Stella Rosa, di proprietà dell’azienda californiana Riboli Wines Family, che nel 2023 ne ha venduti per 341 milioni di €, praticamente il 92% di tutto del vino italiano nolo.
Ricapitolando, Stella Rosa prende il vino italiano, lo lavora per dealcolarlo e poi lo imbottiglia con il proprio marchio. La quota rimanente se la prende Cavit, che fa la stessa cosa, con un fatturato di 42 milioni di €. Considerate che sono bottiglie che vengono via in scaffale attorno a 16 dollari, un valore più alto della media di 7-10 dollari del normale vino, e di questa cifra solo il 20% al massimo rimane nelle tasche delle cantine italiane che quel vino lo hanno prodotto, e a questo 20% occorre togliere le spese della filiera.
In sintesi, da una parte abbiamo alte giacenze di vino in cantina causate soprattutto dall’eccesso di produzione e della diminuzione della domanda, un fenomeno che colpisce tutti i produttori mondiali di vino; dall’altra si sta seriamente pensando agli espianti di vigneti per diminuire la quantità prodotta, come hanno fatto California, Francia e Australia, e forse presto anche l’Italia. L’autorizzazione per gli espianti dei vigneti da parte del Ministero c’è, le organizzazioni dei viticoltori, come UIV e Federvini non sono d’accordo, vedremo che succederà.
Un mercato dove non ci siamo
Tornando all’argomento dei vini nolow, riporto le parole di Davide Bortone nel suo post su Wine-Searcher:
Strano, vero? Un fenomeno che sta andando alla grande negli Stati Uniti, dove i vini italiani sono venduti dalle aziende locali a un prezzo medio a scaffale di quasi 16 dollari al litro – più del doppio rispetto alle bottiglie statunitensi dello stesso tipo, che tendono a collocarsi intorno ai 7 dollari. Si tratta addirittura del 5% in più rispetto ai prezzi medi dei vini italiani alcolici
Quindi se una bottiglia di Barbera, ad esempio, costa 12 dollari, una bottiglia di Barbera low alcol ne costa 16. Ho fatto l’esempio della Barbera ma potevo dire Valpolicella, Pinot Grigio, Sangiovese, Trebbiano.
Insomma, non poter produrre vino dealcolato o parzialmente dealcolato, invece di sostenere e proteggere il vino italiano sta tenendo bloccato un segmento di mercato. Le aziende americane acquistano vino italiano, lo portano fuori Italia per la dealcolazione e poi lo rivendono con il proprio marchio. Scrivendo esplicitamente che è fatto con vino italiano, il che è ancor più una beffa.
La difesa del Made in Italy applicata male?
Restare fuori dai circuiti internazionali di questo settore di mercato non fa del bene all’immagine dell’Italia vinicola, una immagine forse un po’ troppo legata al passato. Ad esempio non saremo concorrenti al Concours Mondial de Bruxelles, che si terrà in Messico (a Guanajuato) dal 7 al 9 giugno, per il premio dedicato ai vini rossi e ai vini bianchi per le categorie No Alcool e Low Alcool. La prima volta di un premio per questa categoria di vini.
La tendenza dei consumatori, ormai da qualche anno, è cercare vini con un basso tenore alcolico, e di questo se ne stanno accorgendo i produttori di Amarone che iniziano a ripensare i metodi di produzione per avere un vino con un contenuto di alcool minore. Per motivi di salute, per evitare i problemi con l’alcool, già da un po’ di tempo la tendenza è dirigersi verso vini a basso contenuto alcolico, ed ora che ci sono i NoLo, i consumatori sorpattutto più giovani ne sono attratti.
Comunque la si pensi, il dato di fatto è che il mercato NoLo è in crescita, birra e sidro fanno la parte del leone con il 72% di quota di mercato. Tra i vini, bianchi e spumanti sono quelli più richiesti, perché nei desideri dei consumatori sono quelli più vicini a bevande fresche e dissetanti, le caratteristiche che vengono più cercate in questi vini, rispetto ai vini rossi dove invece si vuole trovare più corpo, più robustezza, anche alcolica.
Le nuove generazioni vogliono bere per stare insieme, drink freschi e saporiti, aromatizzati, e sanno che l’alcool fa male, in quantità eccessive. La soluzione dei vini NoLow sembra ottima, quindi. Peccato che una normativa che vuole essere conservativa delle nostre tradizioni ci stia lasciando fuori da un mercato per ora interessante.