Secondo un report dell’IWSR, il mercato No-Low alcohol è destinato a crescere ancora nel 2024. L’andamento è visibile analizzando la quota dei prodotti analcolici sul totale delle bevande alcoliche, che si prevede in cresita del 4% entro il 2027.
I dieci mercati principali per questo segmento rappresentano il 70% dei volumi globali, e qui la crescita è stata del 5% nel 2023. Il picco è stato raggiunto nel biennio 2020-2021 ed ora il trend è più moderato, ma comunque sempre positivo. Al di là dei volumi, è interessante vedere che nel 2023 ben il 17% degli estimatori dei prodotti No-Low Alcohol era costituito da nuovi clienti.
L’Italia non è nella partita No-Low Alcohol
Da questo punto di vista, l’Unione Italiana Vini (UIV) è preoccupata del ritardo italiano in questo settore. Il vino italiano infatti viene acquistato dagli acquirenti americani, ma poi sono gli USA che lo commercializzano con i propri brand. Insomma, come scrive UIV, la produzione è made in Italy ma il business è made in USA. I vini italiani Low alcol vengono venduti anche a 15$ al litro, sugli scaffali americani, quelli No alcol si trovano a 14$. Insomma, l’Italia potrebbe perdere il business dei No-Low alcohol a favore di spagnoli, francesi e neozelandesi. Come scrive Paolo Castelletti, segretario generale UIV:
Il segmento low-alcol può rappresentare un’opportunità anche e soprattutto là dove il prodotto tradizionale fa fatica, come dimostra il record ventennale di vino rimasto in cantina al termine della scorsa campagna vendemmiale.
E continua spiegando che oggi ci sono tre possibilità per produrre in Italia vini low alcol, e una di queste è procedere con la dealcolazione vendendo il proprio vino ad aziende europee che possono eseguire la procedura. Cosa che in Italia non è consentita, mentre la UE la ha autorizzata già da più di due anni. Stiamo parlando di una fetta di mercato, quella dei drink poco alcolici aromatizzati a base di vino più vino low alcol vero e proprio, che negli USA vale 650 milioni di dollari. Alcune aziende italiane stanno iniziando a ragionare in modo diverso ma, come potete leggere in questo post, non nel mercato interno.
La situazione del mercato e i consumatori
Importante in questo caso è analizzare le tendenze dei consumatori, e il report di IWSR dice che il 43% dei consumatori di prodotti No-Low Alcohol è della generazione Millennial, in aumento rispetto all’anno precedente. La tendenza quindi è quella di ripensare il proprio rapporto con gli alcolici, in particolare prendendo in considerazione l’impatto sulla propria salute, una tendenza messa in evidenza anche dall’OMS. Non sono però i millennials americani ad essere i maggiori consumatori di prodotti No-Low Alcohol, che invece è guidato dagli europei. In Italia la birra a zero alcol, il maggior prodotto dealcolato consumato qui da noi, è circa il 10%, confrontata all’1% del mercato USA.
Tra i fattori di traino, i prodotti premium sono un fattore importante. Drink analcolici a base di vino dealcolato con l’aggiunta di ingredienti adatti per creare esperienze di bevuta potenzialmente uniche, di questo si tratta. Packaging ed estetica contribuiscono a far diventare questi drink prodotti premium. E naturalmente, i prezzi sono adeguati verso l’alto.
La Francia ha il maggior numero di nuovi consumatori, mentre la Germania è uno dei mercati più grandi al mondo per il settore No-Low Alcohol, con una quota considerevole di consumatori anziani. C’è stato un aumento significativo di nuovi consumatori di prodotti senza alcol in Spagna.
Australia, Francia e Stati Uniti hanno la percentuale più alta di nuovi Millennial nella categoria a basso contenuto di alcol; Australia, Francia e Canada per i vini senza alcol. Il 43% dei consumatori statunitensi del mercato No-Low Alcohol sono Millennial, che rappresentano il gruppo di consumatori più numeroso in Australia, con il 36%.
Una prospettiva interessante, per i vini no alcol, è l’ingresso nei mercati del Medio Oriente, ed è per questo che anche l’Italia dovrebbe iniziare ad aprirsi al settore.