Siamo abituati a vedere etichette, più o meno belle, sulle bottiglie di vino, con alcune informazioni che, oltre ad essere obbligatorie per legge, ci aiutano nella scelta di una bottiglia piuttosto che di un’altra. L’evoluzione della stampa e della grafica consente oggi di avere etichette di pregevole fattura, (la maggior parte, direi), chiare, spesso minimaliste, che, per il carattere tipografico usato o per i colori, rendono riconoscibile quella bottiglia tra tutte le altre.
L’etimologia della parola etichetta ci dice però che non sempre è stato così. La parola ‘etichetta’ deriva, come la gran parte delle parole delle lingue europee mediterranee, dal greco; poi è stata trasportata in Spagna e poi in Francia. Da qui è arrivata nei paesi del nord, Gran Bretagna e Germania (‘stick’). Il significato però è rimasto sempre lo stesso: indica qualcosa nato dall’atto del pungere, dell’incidere.
Il termine italiano deriva direttamente dal francese étiquette, che aveva il significato di ‘dicitura, cartiglio’,

ed indicava la scritta sui faldoni della burocrazia e della giustizia; tra l’altro, poiché i cerimoniali di corte erano stabiliti da ben delineate procedure burocratiche che venivano identificate da queste targhette, il termine ‘etichetta’ arrivò a definire anche l’insieme delle regole di buona condotta.
Il significato comunque è univoco, e indica un cartellino con dei dati che consentano di identificare il contenuto o classificare un oggetto.
Le prime etichette per il vino non erano certo di carta, ma erano semplici incisioni fatte nelle anfore di terracotta dove il vino veniva mantenuto, e con le quali veniva indicato il nome del produttore, l’anno, a volte il luogo di produzione o le uve utilizzate.
Quale sia l’etichetta, o l’incisione, più antica, è ancora un argomento dibatutto e, tutto sommato, poco interessante. Potrebbe essere un’anfora babilonese di seimila anni fa, che conteneva olio e con l’indicazione del numero dell’anfora; oppure una incisione su un’anfora egizia piena di vino trovata (senza il vino, evaporato) nella tomba di Tuankhamon, più o meno nel 1300 a.C.
Certamente i Romani usavano questo sistema per etichettare il proprio vino, come nell’anfora in cotto risalente al 51 d.C. e che aveva incisa la scritta “Vino del Vesuvio, Imperatore Vespasiano Console”.
Vennero introdotte le botti dai Galli (ed ecco perché la parte tannica proveniente dal legno si chiama tannino gallico), ed anch’esse avevano le proprie etichette, delle scritte con uno stiletto arroventato sul fondo della botte stessa.
Fu però con l’invenzione della bottiglia di vetro che si rese necessario identificarne con esattezza il contenuto, cosa che veniva fatta legando al collo della bottiglia una targhetta di legno o una piccola pergamenta arrotolata.
Il punto di svolta fu nel 1796 con l’invenzione della litografia da parte del cecoslovacco Aloys Senefelder: consiste semplicemente nel disegnare la bozza della figura, o della scritta, su una pietra levigata e passare un rullo inchiostrato con la carta sulla pietra, ottenendo così tante copie della stessa figura.
L’esigenza di avere bottiglie con etichette riconoscibili ha una connotazione prettamente commerciale, e deriva dalle necessità dei vari produttori di Champagne. Infatti ogni produttore aveva una propria tecnica ed una propria ricetta di produzione, e dunque essi avevano bisogno che le bottiglie fossero immediatamente riconoscibili.
Nacquero così, grazie alla litografia, le etichette passe-partout, semplici rettangoli bianchi con una cornice decorata a stampa, con motivi e colori differenti da produttore a produttore; lo spazio bianco veniva riempito a penna con le indicazioni del nome del produttore, l’anno di produzione, la zona.
La tecnologia si evolve, nasce la cromolitografia, ossia una litografia in cui si possono utilizzare più colori nella stessa stampa, dando così libero sfogo alle fantasie dei disegnatori.
I produttori fanno a gara a chi ha l’etichetta più fantasiosa e barocca, svolazzi, corone, tralci e pampini affollano lo spazio dedicato alle indicazioni enologiche, facendole diventare vere e proprie opere d’arte, rendendosi conto che il disegno sulle loro bottiglie è un potente traino commerciale nella scelta del consumatore.
Se volete, potete leggere un paio di miei articoli dove sono mostrate le etichette di due vini: il primo è lo Chateau Mouton-Rotschild del 1975, con etichetta di Andy Warhol, il secondo è il Domaine du Perron 2010 con etichetta di Rebecca Dauwe.
Nota: Come per altri tragici avvenimenti, questo blog non ha la possibilità di fare nulla. Posso solamente essere vicino alla popolazione della Sardegna. Le mie personali azioni per aiutare, come potrò, gli amici sardi, sono, appunto, esclusivamente personali. Però voglio dire in modo chiaro che i danni dovuti alla situazione metereologica in Sardegna, così come è avvenuto in altre regioni, così come è avvenuto a l’Aquila con il terremoto, sono stati amplificati non dall’incuria ma dalla mano assassina di chi ha consentito di disboscare, ricoprire fiumi, costruire dove non è consentito o costruire rubando e lucrando sui materiali utilizzati. Non è polemica, come vogliono far credere gli usurpatori del significato delle parole, è un dato di fatto. E non si potranno contare nuovamente i morti causati da queste tragedie se prima non si denunciano nomi e cognomi di imprenditori, amministratori locali, politici nazionali, che hanno coscientemente accettato i morti, i feriti, gli sfollati, le vite spezzate per sempre.