“…Da quel luogo vengono fanciulle

di molta saggezza,

tre, da quelle acque

che sotto l’albero si stendono.

Ha nome Urðr la prima,

Verðandi l’altra

(sopra una tavola incidono rune),

Skuld quella ch’è terza.

Queste decidono la legge,

queste scelgono la vita

per i viventi nati,

le sorti degli uomini…”.

 

(Völuspá o Profezia della Veggente, strofa XX. Da Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli. Garzanti, Milano 1982.)

Per il titolo ringrazio Dora Forsoni. La definizione è sua, l’ha utilizzata riferendosi a mia moglie. Io la mutuo in deroga al significato originario e immediato, ma facendone salvo il messaggio implicito e fondamentale: unione e corrispondenza amorosa. Qui si tratterà infatti degli altri vini di Dora e Patrizia: dell’altra metà, che è quella bianca.

Le immagini, in parte qui riprodotte, in parte reperibili su altri siti attraverso i collegamenti citati, si riferiscono all’imbottigliamento del Bianco Toscano IGT 2010 avvenuto la mattina del 9 luglio 2011.

Il video inserito nel post è visibile sul canale YouTube di Storiedelvino; questo come gli altri relativi alla visita a Sanguineto sono stati realizzati da me e sono pubblicati sotto Creative Commons Licence.

Sanguineto è anzitutto culla del prugnolo gentile, cioè del Rosso e del Nobile di Montepulciano. Dora Forsoni ne decifra ed eleva l’essenza in un’espressione che molti, per rigidità lessicale o esiguità d’immaginario, esauriscono nella definizione riduttiva di tradizionalista. Lo fanno in una zona dove il termine tradizione e i suoi derivati vengono spesso evocati abusivamente, in allegorie elementari o persino rozze, al servizio di mode e grandi distribuzioni.

I toponimi di Sanguineto I e II riconducono piuttosto a un’identità composita e ineguagliabile, di cui la tradizione in senso proprio – il luogo per vocazione, la vite per elezione – è uno degli argomenti ma non il solo, e si affranca dal rischio-slogan e da sterili afflati eno-passatisti attraverso talento e tecnica. Le donne di Sanguineto conoscono queste virtù e le applicano: integrità e perizia nell’esecuzione non significano adesione alla pedissequa, anodina comodità del disciplinare, né esercizio filologico nel recupero di antichi e autoctoni fasti.

Donne virtuose e poderose, vivaddio! Fortissime; mai arroganti. Affettuose; nemiche giurate dell’affettazione. Severe; mai gravi. Soprattutto generose, ma senza ostentata munificenza. Quest’ultimo binomio è reso immediatamente dai loro vini, che si distendono in una stratificazione ora semplice, ora più complessa di sensazioni mai scontate o supinamente sciorinate. Non mirano a stupire, non vogliono accontentare facilmente ma sanno farci contenti, il che è completamente diverso. Come le loro artefici, essi coltivano il senso del dono e non indulgono alla lusinga.

La manifestazione di talento e technè si ritrova nei vini “altri” di Dora e Patrizia. In questi non è il sodalizio misterioso e superiore tra il prugnolo gentile e la sintassi del luogo a declinare la regola aurea: le uve impiegate sono infatti diverse. Ciononostante il Sangiovese IGT, da viti ultrasettantenni recuperate all’abbandono, e il saporoso Bianco, un giovane aitante e irruento, sono forma e forza espressiva di autrici versate e territori vocati.

Di Sanguineto I e II si parla quasi sempre , e sempre bene , per il Rosso e il Nobile. In questa sede voglio soffermarmi sul Bianco. Per approfondimenti diversi su Sanguineto, rimando al resoconto di Rolando su questo blog, o all’ampio articolo pubblicato sul n°33-34 della rivista Porthos, o ancora al pregevole documentario Senza Trucco di Giulia Graglia. In un secondo articolo, di prossima pubblicazione su Storie del Vino, si tornerà a raccontare dei rossi.

Il Bianco di Sanguineto, Vino da Tavola nella vendemmia 2008 e IGT a partire dal 2009, è un uvaggio di malvasia verde, malvasia bianca, biancame, trebbiano e grechetto in proporzioni variabili. Regime de facto biologico, raccolta manuale, fermentazione spontanea, nessun controllo della temperatura, rimontaggi mediante affondamento manuale delle vinacce.

La prima produzione per la vendita data proprio al 2008 e si deve al ricatto dell’importatore giapponese, il quale minacciava di non ordinare più i rossi se questo bianco per la famiglia e gli amici non fosse stato imbottigliato.

Prodotto in quantità esigue (4000 bottiglie nel 2009, 4500 nel 2010), viene destinato quasi totalmente agli appassionati in Giappone, Stati Uniti, Belgio e Svizzera. In Italia la reperibilità è scarsa o nulla: c’è da accontentarsi di una minima razione, assicurata per lo più da un’oculata e competente Lady Dealer di Roma. La fascia di prezzo al dettaglio stimata è 10 – 13 euro.

Vino da Tavola Bianco 2008

Al naso si offrono note grasse e stratificate di frutta matura – nespola, mela golden e susina – e sciroppata, poi fieno greco e senape. Sullo sfondo, una base vegetale più acerba, che a tratti ricorda il legno e il tralcio di vite. Cenni balsamici e di erbe aromatiche, menta e salvia, poi il profilo si eleva in un poliedrico sviluppo minerale, gesso, sale e acqua marina. Impatto impegnativo, mimetico, anche spigoloso.

Dopo una sosta di mezz’ora dispiega la parte crepuscolare e vi si assesta: si colgono gelatina di uva spina e di gelso bianco, tè verde, erbe macerate, acqua salmastra. In bocca entra secco e caldo, è subito suadente e la avvolge nella sensazione calorica; esita un poco a rinfrescarla e quest’inerzia interferisce sulla gradualità delle percezioni gustative. E’ dotato di corpo consistente, segnato da riverberi caldi ma senza pesantezze. Abbastanza lungo il finale, nel quale si delinea ancora la nota vegetale percepita all’olfatto, identica per ritmo e intensità.

Bianco Toscano IGT 2009

Spicca per maggiori compostezza e unità espressiva rispetto all’annata precedente. Al momento della degustazione risultavano più giusti e definiti i riscontri fermentativi, l’impatto nel complesso più coinvolgente. Credibile nella parte vegetale e floreale di legume fresco, aneto, sedano, timo, tuberosa; in quella fruttata di agrumi dolci, kumquat e cedro. Profonda la traccia minerale di tufo, ruggine, una tenue nota gessosa, cui si lega alla distanza una scia sottile di matrice marina, tra alghe e acqua. In bocca si riscopre secco e caldo, dotato di una tensione più calibrata e di scansione più regolare dopo l’impatto: non accalora, non comprime lo sviluppo delle sensazioni sapide, dell’agrume e dei fiori. La dinamica è corretta, da registrare in alcune, minime discontinuità ma godibile. Una riuscita, purtroppo già da tempo irreperibile opera seconda.

Bianco Toscano IGT 2010

Chi è interessato provi a procacciarsi un campione di questa terza prova. Impresa ardua: imbottigliato due mesi fa, è già virtualmente esaurito. Compone le impressioni di vigore e calore, il temperamento delle prime due edizioni in un vasto insieme di rapporti finalmente più giusti, cioè di maggior equilibrio. Vibra e risuona con energia, ma senza alcuna sbavatura: la vaga sensazione “ormonale” all’apertura – sudore, d’altronde qui c’è “jeunesse au travail”! – si disperde subito e lascia il campo a profumi tipicamente giovanili, intensi e persistenti ma netti, sani: agrumi, fiori bianchi, mela golden delicious. L’impronta minerale è consueta, un tratto distintivo; quella vegetale dispone la verde carnosità di fave e piselli freschi, la fragranza di rincospermo e robinia su uno sfondo più basso e umido, muschio verde e fieno bagnato. In bocca la sua vivacità è finalmente temperata: il calore e la grassezza già noti incedono in parallelo con la vena sapida e la freschezza, che qui funge efficacemente da vettore per le sensazioni gustative. C’è slancio, non dispersione, e la progressione si mantiene ben scandita, non finendo in accumulo.

“E’ questione di assenza di vincoli, perché se mai dovesse ricapitare un’annata come la 2002, voglio poter considerare di intervenire nel modo più opportuno e senza ingannare i clienti”. Così Dora Forsoni nell’articolo su Porthos 33-34, pag. 117.

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