I vini di questo articolo sono stati degustati a SemplicementeUva, la manifestazione milanese di novembre 2010 dove erano presenti alcuni dei grandi produttori di vino naturale, italiani ed esteri.
La degustazione è avvenuta in tipico stile porthosiano, condotta da Sandro Sangiorgi in tutti i suoi aspetti; come d’uso durante gli incontri a Porthos, Sandro ha scelto di leggere un brano da La vita di Adriano di Marguerite Yourcenair, sebbene monsieur Hochar avesse detto di preferir assaporare  il vino senza troppe parole.
Appena arrivati in sala erano già presenti tre bicchieri con il rosso, un 2000, un 1987 ed un 1977 e non c’era bisogno di spiegazioni su quale bicchiere contenesse quale vino.
Lo Chateau Musar rouge è un vino assemblato con Cabernet Sauvignon, Carignan e Cinsault. Le percentuali sono variabili a seconda dell’annata e del vino che lo stesso Serge vuole ottenere, ma sempre con la filosofia del vino naturale.

Dunque in vigna concimi chimici banditi, molto lavoro di potatura, densità d’impianto tra i 2000 ed i 3000 ceppi per ettaro, una produttività di 30 ettolitri per ettaro, vendemmia esclusivamente manuale, anche considerando che le vigne, di almeno 30 anni, sono situate sull’altopiano della Bekaa, a quasi mille metri d’altezza.

In cantina nessun lievito aggiunto, il mosto rimane a fermentare in grandi vasche di cemento da 60 fino a 300 ettolitri per 4 settimane, dove nel frattempo avviene spontaneamente la malolattica, con continue follature per rompere il cappello, ossia evitare che le bucce, salendo in superficie, facciano da tappo alla fermentazione ed alla conseguente produzione di anidride carbonica. Non viene effettuata alcuna filtrazione né chiarifica del vino.
Il vino viene poi lasciato ad affinare in barrique insieme alle fecce fini per un anno, svinato e lasciato ancora per altri tre anni, dopodiché viene imbottigliato.
Nel bicchiere si sviluppano profumi intensi che anche per la composizione del vino ricordano in modo puntuale i vini bordolesi.
Lo Chateau Musar Rouge 2000 è rosso rubino, quasi giovane, con nessun segno di avere già dieci anni. Un profumo immediato, profondo e molto persistente, tanto che mentre ne scrivo mi pare ancora di averlo qui di fronte a me, un insieme di effluvi complesso, varietale del Cabernet Sauvignon.
Al palato sembra che la morbidezza ed il tannino siano ancora separati, come se dovessero ancora legarsi tra loro, evidenti ognuna con la propria personalità ma non unite. Una sensazione devo ammettere molto particolare, sentire comtemporaneamente e distintamente le tipicità all’interno del bicchiere.
La bocca rimane poi profumata, il tannino la fa da padrone ma non in maniera eccessiva; è un vino ancora potenzialmente giovane, non austero come ci si potrebbe attendere.
Lol Chateau Musar Rouge 1987 è di un rosso tendente al porpora, non del tutto limpido ma senza particelle in sospensione, segno dell’attenta decantazione fatta da monsieur Hochar in persona.
Ad un vino così ci si accosta con attenzione, poche rotazioni nel bicchiere, un assaggio olfattivo a vino quasi fermo. I profumi poi si sviluppano verso la frutta in confettura, quasi alcolico di fermentazione, la nota erbacea molto in sottofondo, meno complessità del precedente ma più intensità.
Al palato la morbidezza e l’acidità accompagnano dei tannini sottili e ben formati, che lasciano la bocca profumata ed assetata di un secondo sorso, rotondo e maturo.
Infine lo Chateau Musar Rouge 1977, colore quasi aranciato, nessun segno di ossidazione nonostante i quasi trent’anni trascorsi in bottiglia. Profumi lievi, niente austerità ma quasi più pungenza, una lieve idea di aromaticità a ricordare l’erbaceo del vino giovane.
La morbidezza elegante del precedente ora è più debole, così come la parte tannica, senza aver perduto niente della sua naturale complessità gustativa la bocca rimane piacevolmente sorpresa dopo poco di sentire ancora la parte acida avvolta nella morbidezza varietale.
Durante la degustazione molte domande sono state rivolte a Serge Hochar, prima in francese con l’aiuto da parte di Sandro per una immediata traduzione, poi in inglese.
Alla mia domanda se fosse stato difficile produrre vino in Libano durante gli anni della guerra, e fino ad ora, monsieur Hochar ha risposto saggiamente che ‘la guerra può uccidere gli uomini, ma non i lieviti’.
Una risposta piuttosto diplomatica che nascondeva tutto il suo disagio a parlare di guerra ed il desiderio di nascondere, per qualche ora, i suoi ricordi dei tempi più bui della sua storia.
Nel prossimo post vi racconterò la degustazione dei bianchi tenuta in quella stessa sera di domenica.

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