Il mondo del vino non è molto abituato all’uso delle nuove tecnologie della comunicazione, ma questa non è una cosa nuova. 

Alcuni produttori utilizzano bene i new media, con siti web fruibili e ben organizzati ed una costante presenza su Twitter e Facebook. E’ una attività che spesso fanno da soli, senza aiuti di agenzie esterne intendo. Questa modalità è tipica dei produttori di media e piccola dimensione, e comporta il problema di non garantire l’affidabilità degli appuntamenti: a volte trascorrono settimane prima di vedere un nuovo post del blog o una nuova foto sul canale social.

Poco digital in Italia per le aziende vinicole

Qualche giorno fa è uscito un articolo di Francesco Russo (@franzrusso) su InTime che riporta l’analisi compiuta da AQuest sulla presenza online delle 37 principali aziende vinicole italiane. In periodo di Vinitaly e di frontiere da abbattere, è un buon segnale che aziende e blog che si occupano di tecnologia si occupino del settore, e questo è il terzo anno consecutivo dove su InTime potete leggere dati sull’argomento.

Quel che emerge è una presenza piuttosto scarsa, se non in termini di numeri almeno in termini di utilizzo dei moderni sistemi di comunicazione.

Vi invito a dare uno sguardo alle infografiche pubblicate, e magari (se producete vino) a rendervi conto che presidiare il canale digitale è ormai una via obbligata, anche se non semplice come si penserebbe. Non basta farlo fare al cuginetto che sta tutto il giorno davanti al computer o incollato al telefonino. Sarebbe come far fare il vino al tizio che sta tutto il giorno seduto al bancone del Vini e Oli. 

Le cifre riportate da InTime costituiscono quindi, per i produttori che volessero approfittarne, una buona base di partenza o, quantomeno, di riflessione sulle modalità di promozione e vendita del proprio vino. Oppure un campanello d’allarme.

Il vino online fa lo 0.2% del totale

La penetrazione dell’e-commerce è piuttosto bassa in Italia; sul sito di Marco Baccaglio, I numeri del Vino, potete leggere una utile analisi delle vendite online del vino italiano, partendo dai dati di Tannico.it e Italian Wine Brand.

A mio avviso, come ho già avuto modo di scrivere ultimamente, forse non è l’e-commerce il modo migliore di vendere il vino in Italia; il maggior numero di bottiglie viene venduto in GDO. Questa è una tendenza di tutto il mercato, non solo italiano: la Francia fa i numeri che fa in Cina grazie ad Auchan e Lidl (oltre ad una promozione intelligente del proprio vino).

Le tradizioni del nostro paese non sono propriamente digitali, siamo molto attaccati al nostro territorio, e le abitudini sono dure da cambiare. Se però le tradizioni italiane sono il nostro miglior badge di presentazione, dovremmo utilizzarle per migliorare anziché rimanere incatenati ad esse.

Il territorio viene usato in ogni pubblicità di prodotti vinicoli per sottolineare la vicinanza alle tradizioni e la genuinità del vino. Si mostrano panorami e antichi casali, vignaioli col cappello di paglia e furgoni di trent’anni fa per il trasporto delle bottiglie. Raramente si parla del vitigno, il che se ci pensate è quasi normale, visto che molti dei vini pubblicizzati sono assemblaggi di vini diversi. Anche i vari Sangiovese o Trebbiano che si vedono reclamizzati in cartone, provengono da zone spesso ampie quanto la nostra penisola.

Così, se la vendita online del vino in Italia non decolla (solo lo 0.2% di tutto il vino viene venduto tramite questo canale), in parte anche a causa di una filiera lunga, dovremmo imparare ad usare il canale digitale per la promozione sfruttando il canale offline.

Sono stato a ViniVeri a Cerea sabato, ed uno dei fattori che accomunavano almeno venti degli oltre 150 produttori italiani presenti è stata la percentuale di vino venduto entro i 50km dalla loro azienda: attorno al 5%.

Questo significa che nonostante il vino italiano utilizzi il territorio come veicolo promozionale, almeno nelle pubblicità e nel comune sentire, nei fatti i ristoranti, le trattorie, le enoteche paiono ben poco propense ad acquistare il vino locale.

Il secondo fattore importante di cui tenere conto è la grande propaganda che si fa delle indubitabili bellezze del nostro patrimonio artistico, culturale, paesaggistico, propaganda che il più delle volte però è disorganica e mal fatta.

Dunque, perché non sfruttare il vino come traino per l’industria del turismo in Italia?

Andare offline per restare online

Ecco allora che il canale online dovrebbe (deve, accidenti, deve!) legarsi al canale offline, con promozioni sul territorio connesse all’arte ed alla cultura, e quindi al turismo. Le Strade del Vino a volte sono solo cartelli arrugginiti che si vedono ogni tanto su qualche strada provinciale, ma se vado a vedere un museo in una piccola cittadina, poi dovrò fermarmi a mangiare da qualche parte, e sarebbe bello continuare la gita andando a visitare la cantina che produce proprio il vino che ha accompagnato il mio pasto.

Oppure al contrario, mentre vado direttamente in cantina a comprare il vino e parlare col produttore, potrei fermarmi a visitare una mostra nella città vicina, avere addirittura indicazioni in merito dallo stesso vignaiolo, trovare le brochure informative in cantina, fare foto interessanti dei panorami, trovare un bel percorso per la mountain bike

Questo è il collegamento possibile tra i due canali, la lateralità o, come si dice nel web marketing, sfruttare la coda lunga.

La coda lunga del vino

Nella ricerca di una parola chiave, ad esempio ‘degustazioni‘, da inserire in un post (amici vignaioli, voi sapete cosa sia la SEO, vero?) in genere si comincia a ragionare su tutte le frasi che rimandino all’idea di degustazione. Possiamo pensare a ‘visita in cantina‘, ‘mangiare e bere a …’, ‘museo vicino cantina‘, ‘escursioni in campagna’, ‘sentieri per trekking‘. 

La promozione online ed offline del vino quindi dovrebbe passare da queste parole, creando un hyperlink ideale fra la mostra al museo, la fotografia dei panorami, le escursioni in mountain bike, il cibo ed il vino, un albergo per il fine settimana; una connessione non solo tra stringhe del database di un motore di ricerca, ma pratica costante e, appunto, offline. 

Ed è qui che entra in gioco la tecnologia di oggi, con l’uso di YouTube ed Instagram per dare più peso al nostro racconto, o di applicazioni per mobile device che consentano di costruire il percorso più idoneo per il turista, segnalando monumenti e librerie, ristoranti e musei, teatri, punti panoramici e le cantine che si incontrano lungo la strada, che abbiano un sito web aggiornato e costruito per prenotare una degustazione. A casa poi, con comodo, si potrà acquistare online qualche bottiglia in più, per esempio sfruttando un codice di sconto basato sull’email che il turista avrà lasciato durante la visita (perché vi fate lasciare l’email dei visitatori, giusto?). E per ogni foto inviata dagli utenti, 5 centesimi di sconto, 10 per un video fatto in vigna, per migliorare la partecipazione dei vostri clienti alle vostre attività.

La globalizzazione non è uno spauracchio, è una realtà che va cavalcata utilizzando il web, usando la IoE (Internet of Everythings), magari anche i droni con videocamera e rilevatore GPS.

Il turismo legato al vino sta andando bene: perché non farlo andare meglio, in un paese dove la crescita industriale è qualche percentuale sopra lo zero?

Come ho avuto più volte modo di scrivere, condivisione, non segregazione.

Apertura delle frontiere, non chiusura dentro casa.

Ma se non si fa una vera e propria conversione (metànoia, cambiamento di mentalità) digitale, la tecnologia non sarà altro che un insieme di canali verticali, che è esattamente il contrario dell’orizzontalità che la tecnologia, oggi, rende semplice e fruibile.

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