Non sempre la muffa che attacca l’uva è un danno. A volte può essere un pregio e, se abilmente sfruttata, può produrre quegli ottimi vini dolci che sono appunto i vini muffati.
Non tutte le muffe naturalmente compiono un buon lavoro sugli acini, e non tutti i tipi di uva sono adatti ad essere attaccati dalla muffa. E nemmeno tutti i territori sono adatti a far nascere la muffa nobile.
La nobiltà della muffa
La muffa nobile, è questo il nome con cui genericamente si chiama quel tipo particolare di muffa, è in realtà la Botrytis Cinerea, che consente la nascita dei vini muffati, o botritizzati.
Anche nel caso di presenza di Botrytis sugli acini, non è così automatico che l’uva possa essere adatta per fare un vino muffato. Nel caso di terreni particolarmente umidi, di acqua ristagnante per molto tempo, o una vigna poco ventilata, anche la Botrytis produce una malattia, il cosiddetto marciume grigio che asciuga completamente gli acini, li fa marcire e cadere dal grappolo.
La formazione della muffa nobile è una particolare e fortunata combinazione di molti fattori, umidità mattutina, clima ventilato durante la giornata, uve adatte, e soprattutto territorio con il clima giusto per la formazione della Botrytis.
La spora della Botrytis rompe la buccia dell’acino, facendo evaporare fino al 50% dell’acqua contenuta ed aumentando così la concentrazione di zuccheri al suo interno, di cui la muffa si nutre.
I vini muffati risultano estremamente morbidi grazie agli zuccheri che si trasformano in glicerina durante la fermentazione, ma non eccessivamente dolci come un passito.
L’uva viene lasciata sulla pianta fino in autunno inoltrato, così da concentrare il contenuto zuccherino dell’acino. Da metà ottobre fin quasi a novembre si vendemmia, scegliendo grappolo per grappolo, quelli in cui la muffa ha fatto bene il suo lavoro.
La fermentazione di un vino botritizzato è lunga e richiede molta attenzione, è necessario controllare che non avvengano fermentazioni tumultuose spontanee innescate da lieviti troppo ingordi di zucchero.
Dopo la fermentazione il vino viene lasciato riposare in barrique e lasciato affinare anche per due anni; l’acidità di un muffato è piuttosto alta rispetto ad un qualunque passito o vendemmia tardiva, e con il passare degli anni la parte morbida del vino viene attenuata dalla sua freschezza acida. L’affinamento continua poi in bottiglia.
Un vino differente da tutti gli altri
Fare vini muffati comporta un gran lavoro da parte del vignaiolo: rese basse, scelta dei grappoli, una vendemmia che può durare fino ad un mese di lavoro. Ed un processo di vinificazione estremamente lungo e delicato. Non tutte le annate sono favorevoli allo sviluppo della muffa nobile, il vignaiolo che decide di dedicarsi a fare un vino muffato deve essere sempre pronto ai continui mutamenti del clima.
Il risultato è un vino completamente diverso da ogni altro: colore ambrato con luminosità che sembra propria. Aromi ampi e complessi tipicamente di miele ed albicocche candite, cenere, agrumi, caramella mou; ma sarebbe riduttivo mettersi ad elencare per ogni vino e per ogni annata gli aromi caratteristici.
I vini dolci nella storia
I vini dolci sono conosciuti fin dall’epoca romana, ma le tecniche di vinificazione e produzione erano completamente diverse. Fu solo nel XV secolo che vennero fatti dagli Olandesi i primi tentativi di bloccare la fermentazione dei vini dolci, per non farli rovinare durante il trasporto per mare. Venivano usati i “fiammiferi olandesi”, candele contenenti zolfo che venivano fatte bruciare all’interno delle grandi botti usate nelle navi per il trasporto del vino prima di riempirle; il trasporto di vini dolci inoltre avveniva durante la stagione fredda. Gli olandesi avevano notato che nelle zone di Bergerac, di Anjou e di Sauternais il clima permetteva una vendemmia tardiva. Ottenevano così vini con più zucchero e particolarmente dolci, riuscendo a trasportare il vino approfittando del col clima freddo per non correre il rischio che il vino iniziasse a fermentare nelle botti.
L’importanza degli olandesi
Non conoscevano l’azione della Botrytis, ma molti dei vini dolci prodotti in quelle zone e comprati dai commercianti olandesi erano quelli che oggi chiamiamo muffati. La celebrità del sauternes era però ancora lontano da arrivare, in Europa il vino dolce più famoso era il Tokaij ungherese, presente in ogni corte reale, ed anch’esso prodotto da uve botritizzate.
Nel 1836 un tedesco di nome Focke, della Renania, diventò proprietario di Chateau La Tour Blanche, non lontano da Chateau d’Yquem. Introdusse nella sua vigna la stessa tecnica usata in Renania per la vinificazione dei vini dolci.
Alcune annotazioni dell’abate Bellet sui vini di Cadillac dal 1717 al 1736, ci dicono che veniva usata soprattutto uva semillon, che era adatto per la vendemmia tardiva. In ottobre le condizioni climatiche dei terreni della valle della Garonna sono proprio quelle adatte per lo sviluppo della botrytis sul semillon. Allora non era però ancora ben chiaro se questo fosse un pregio oppure un difetto, spesso l’uva che presentava tracce di muffa veniva gettata via. L’opera di Bellet è importante anche perchè ci dice che alcune prove di surmaturazione delle uve venivano fatte anche in Italia ed in Provenza.
Sauternes e Yquem, la magia della muffa nobile
Anche i registri di altre grandi cantine riportano che la zona di Barsac, Preignac e Langon erano particolarmente adatti alla produzione di vini dolci. Nicolas Bidet, nel suo Trattato sulla cultura della vigna del 1759, notava che quando le vendemmie erano tardive la dolcezza dei vini prodotti era maggiore e di qualità più alta. E’ in questo periodo che inizia la fortuna del sauternes ed in particolare di Chateau d’Yquem. I vini dello Chateau sono inoltre sempre nelle liste dei migliori fine wines, come scrivevo in questo post.
Il castello sorge su fortificazioni del XII secolo, costruito dagli inglesi quando governavano la regione e fu acquistato dalla famiglia Sauvage d’Yquem nel 1592.
Anche a Cadillac o nelle Graves venivano prodotti vini dolci ottenuti con una surmaturazione dei grappoli sulla pianta. La differenza tra i vini di queste zone e quello di Sauternes era dovuta esclusivamente all’azione della Botrytis, che compariva grazie a pomeriggi autunnali caldi ed assolati seguiti da mattine umide e rugiadose.
Il commercio diventa importante
Il commercio di questo vino iniziò ad assumere grande importanza a Bordeaux e Parigi solo alla vigilia della Rivoluzione. E’ certo che Thomas Jefferson, visitando la Francia una prima volta nel 1784, ebbe parole di grande elogio dei vini dolci francesi, e del sauternes in particolare. Nel 1788 egli stilò una sua classifica personale dei vini di Bordeaux, mettendo al primo posto Yquem ed a seguire Preignac e Barsac. Tornato a Philadelphia scrisse al conte de Saluces, il proprietario di Chateau d’Yquem, che “ho persuaso il nostro presidente generale Washington di assaggiarlo, e ne ha richiesto trenta dozzine di bottiglie, e ne vorrei dieci per me stesso“.
Grazie alla pubblicità che gli americani fecero di questo vino, Yquem divenne il miglior vino di Francia. Con la riclassificazione dei vini di Bordeaux del 1855, Chateau d’Yquem fu l’unico ad avere la denominazione di Premiere Grand Cru.
Produzione e servizio del Sauternes
Il sauternes si produce con uve semillon e l’aggiunta di sauvignon blanc o muscadelle. Il semillon ha una buccia piuttosto sottile, ed è quindi sensibile all’attacco della botrytis cinerea, il sauvignon blanc conferisce il giusto apporto di aromi e soprattutto di acidità. Infine il muscadelle aumenta il quantitativo di zucchero, e per questo non ne viene aggiunto mai più del 5% nell’assemblaggio.
Un sauternes va servito a temperature tra 10 e 12°C, ottimo negli abbinamenti con i formaggi erborinati, come ad esempio il Roquefort, sebbene la tradizione lo voglia naturale accompagnamento del foie-gras. In effetti il foie-gras è forse troppo grasso per l’acidità non elevata di un sauternes, ma a volte la suggestione ha la meglio. In Italia, nella zona di Orvieto, abbiamo degli ottimi rappresentanti di vini muffati, e quindi dobbiamo necessariamente parlare del Muffato della Sala di Antinori.
E’ un vino che viene prodotto dal 1987, inizialmente utilizzando il 50% di Sauvignon Blanc, il 30% di Grechetto ed il rimanente 20% di Drupeggio, un vitigno autoctono.
Con il passare delle annate le percentuali sono cambiate, fino ad arrivare alla composizione attuale. Oggi si produce con il 60% di Sauvignon Blanc ed il rimanente 40% suddiviso tra Grechetto e vitigni aromatici come Traminer e Riesling.
La vendemmia, come per il Sauternes, viene ritardata il più possibile, e a seconda dell’annata può arrivare anche a fine ottobre. Allora, le condizioni climatiche sono le più favorevoli per il formarsi della muffa nobile, che attaccherà gli acini in modo graduale e non rischioso.