Sebbene la fase 2 sia iniziata, la riapertura dei ristoranti e alberghi dovrà ancora aspettare a lungo. Non si tratta infatti solamente del complicato e necessario rispetto delle regole per la distanza. Occorre prima di tutto vincere la diffidenza dei clienti, riuscire a servire i pasti in modo sicuro. E la sicurezza deve essere assicurata anche per chi lavora nel ristorante, tutto il personale, fisso o stagionale.

Gli spostamenti nei prossimi mesi saranno limitati ed il timore di una ripresa dell’epidemia non ci farà stare molto tranquilli. E quindi, poco propensi a passare una serata fuori a cena. Tutti gli eventi del primo semestre del 2020 sono stati cancellati, e questo significa ancora meno viaggiatori e clienti per i ristoranti. Certo, la vendita di cibo da asporto potrà aiutare a tenere alzata la serranda, ma fino a quando?

Il problema, o meglio il dramma, della riapertura dei ristoranti naturalmente non colpisce solamente l’Italia, ma tutte le nazioni; e se anche Bloomberg si inizia ad occupare di questo, vuol dire che la difficoltà è grande sul serio.

Anche l’Eleven Madison Park di New York, che nel 2017 ha vinto il premio per il miglior ristorante del mondo, potrebbe non riaprire alla fine della pandemia.

In un’intervista telefonica a Bloomberg, il proprietario e chef del ristorante Daniel Humm ha confessato che la riapertura potrebbe non essere certa:

C’è un grande punto di domanda sopra il ristorante, se riaprirà. Occorreranno milioni di dollari per farlo, e dovremo ricostituire lo staff. Qui abbiamo un equipaggiamento fantastico e lavoriamo in un grande spazio ed io voglio continuare a cucinare usando gli ingredienti migliori, ma nello stesso tempo tutto questo deve avere senso.

Quasi il 30% del personale del ristorante è composto da immigrati, che al momento della chiusura sono dovuti tornare ai loro paesi senza nemmeno una liquidazione. Ricostruire la squadra costerà parecchio, in termini di soldi e di tempo. Ma intanto non c’erano soluzioni immediate. Fare consegne a domicilio non era la soluzione giusta, per un paio di motivi almeno. Consegnare cibo di qualità dentro scatole fantasiose non sembrava la priorità più grande di New York, che sta avendo il magior numero di vittime di tutti gli USA. Ed inoltre stava ancora pensando alla prossima riapertura, e fare consegne a domicilio avrebbe diminuito molto l’autorevolezza del suo ristorante.

Humm è anche membro del Rethink Food, una organizzazione no-profit che fornisce pasti  alle persone bisognose  usando gli alimenti inutilizzati dei ristoranti; aveva la cucina, i contatti con i fornitori e di sicuro non gli sarebbero stati negati dei fondi.

Ha chiesto 250.000$ all’American Express ed ha iniziato a sfornare 3000 pasti al giorno per tutti quelli che nel frattempo avevano perso il lavoro. Il pensiero di Humm va anche al dopo:

Dovremmo ridefinire il significato del lusso, sarà anche un’opportunità per continuare a nutrire le persone che non hanno nulla. Non ho più bisogno di alimentare solo l’1%

Il proprietario e cuoco dell’Eleven Madison Park ha quindi fatto una mossa non solo altruista, visto che i 250.000$ dovrà restituirli lui. Ha legato anche il nome del suo ristorante ad una attività benefica, rinunciando ad un immediato, seppur scarno, guadagno, con le consegne a domicilio.

Se vogliamo analizzarla tecnicamente, è stata una scelta di marketing indovinata nella strategia per la riapertura dei ristoranti, almeno negli USA. Legare la propria notorietà ad una buona causa rende i clienti più propensi ad entrare nel ristorante, una volta che potranno riaprire. In ogni caso, la riapertura dell’EMP non è scontata, e non sembra nemmeno chiaro se e quando potrà avvenire. Di certo il settore della ristorazione, come quello dell’ospitalità in generale, subirà dei contraccolpi da cui sarà difficile rialzarsi. 

Photo by Brendan Church on Unsplash

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