Libano, Note di degustazione

Chateau Musar Blanc: 2000, 1987, 1967

Gaston Hochar e Sandro Sangiorgi

Come nelle migliori tradizioni di degustazioni francesi, i bianchi vengono serviti dopo i rossi.

E questo si comprende già annusando i tre bicchieri man mano che vengono riempiti dal sempre perfetto Emanuele di Porthos. I profumi provenienti dai bicchieri, ed il sapore dei vini all’interno, erano talmente particolari e intensi che sarebbe stato un vero e proprio delitto mescolarli con quelli dei pur ottimi rossi.

I vini bianchi, anch’essi decantati già dalla mattina da Serge Hochar, erano infatti uno spettacolo solo a guardarli.
Anch’essi provenienti dall’altopiano della Bekaa, dove è situato Chateau Musar, provengono dall’assemblaggio di Obaideh e Merwah, capostipiti probabilmente di Chardonnay e Semillon, 40 ettari di vigneto di 50, 70 anni e quindi a piede franco, posti ad altezze ancora maggiori dei rossi, intorno ai 1000, 1200 metri, in un terreno ghiaioso e calcareo.
La densità di impianto è di 1600 ceppi per ettaro con una produttività di non più di 15 ettolitri per ettaro.
La coltivazione avviene nel rispetto dei parametri delle produzioni biologiche, le uve vendemmiate a mano vengono passate alla pressatura pneumatica soffice e la fermentazione avviene parte in barrique e parte in acciaio, nessun lievito aggiunto, quantità di solforosa intorno a 30 mg/l e malolattica svolta, un passaggio in barrique di rovere di Nevers per sei mesi sulle fecce fini ed infine l’assemblaggio, che avviene in tini d’acciaio inox dove il vino continua ad affinare per altri 2 mesi; infine nelle bottiglie dove resta per quattro anni prima di entrare in commercio.

Il 2000si presenta di color giallo oro, limpido, ed al naso offre tutto se stesso in profumi quasi austeri di

Emanuele con lo Chateau Musar Blanc del ’67

ceralacca, nocciola e fumo di legna. Al gusto è quasi grasso, masticabile, una morbidezza sorretta da una grintosa sapidità e mineralità, lascia la bocca morbida ed asciutta, un lieve sapore di fiori di limone ed erbaceo, caratteristica che si ritrova alla seconda e più profonda olfattiva.
Il colore del 1987 ricorda il miele millefiori, limpido anch’esso, si immagina subito la sua morbidezza facendolo scorrere nel bicchiere.
Esuberante nei profumi di legna bruciata, quercia, crema di noci, erbaceo, prepara la bocca ad una morbidezza eccellente ed una mineralità ben dosata, quasi tannico grazie alla permanenza sulle bucce ed al legno di fermentazione, per nulla ossidato nonostante gli anni ma anzi maturo ed equilibrato, con un finale caldo alcolico.

Ed infine il 1967, che dire.  Se il precedente ricordava il colore del miele millefoglie, questo ha un colore quasi di cognac, appassionante già nella vista.
Al naso sprigiona sentori aromatici immediati, e poi nocciola tostata, miele, lavanda, crema di limone…potremmo inventare ancor più similitudini per il profumo di questo vino, ma basti dire che non presenta, dopo 43 anni, alcuna traccia di ossidazione, ed a chiudere gli occhi potrebbe essere scambiato per un Yquem.

Al gusto è eccezionale, morbido, secco, alcolico, rotondo al palato, minerale e profumato nel palato, di un equilibrio unico.
Potremmo dibattere a lungo per decidere se assomigli più ad un grande Bordeaux o ad un fantastico Borgogna, o ancora se non sia invece più vicino ad un portoghese Vinho Verde.
La verità è che questo Chateau Musar Blanc 1967 è un vino unico, un vino che dà l’impressione di non morire mai, e questa caratteristica, in un vino bianco, si può riscontrare solo se i lieviti indigeni dell’uva sono rimasti a lungo insieme al fermentato, cedendone tutte le caratteristiche, rimanendo, grazie all’assenza di filtrazione, all’interno delle vasche di acciaio durante l’assemblaggio, ed infine ricordati nel gusto morbido e sapido.
Chi è che dice che un vino bianco non possa resistere tutto questo tempo?

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