4050968-bicchiere-di-vino-e-manto-orologio-isolatoL’Italia dei Comuni è passata da un pezzo, ma qualcosa ancora sopravvive, come la capacità di divisione su ogni argomento di cui valga, o non valga, la pena di discutere.
Se poi l’argomento del contendere è il vino, dove oltre la scienza enologica molta parte ha il sentimento, la poesia, il business, allora se ne vedono e leggono di tutti i colori.
Per non essere da meno nella discussione anche io dirò la mia, tramandando grazie alla rete ai posteri le mie parole.
Dunque il contendere è il solito, vini naturali e vini quegli altri, oppure vini e basta e vini con le puzze, oppure vini artigiani e vini industriali. L’articolo di Cristiana Lauro è tutt’altro che banale, mentre quello che ha dato origine alla discussione si.

Pare di assistere al dibattito tra evoluzionisti e creazionisti, tra chi vede naturale che il mondo e gli esseri che lo abitano si sia modificato nel corso di centinaia di milioni di anni, e chi invece è convinto che sia tutto stato creato così come è, immutabile. evoluzione-origine2

Dal mio punto di vista un vino naturale può anche essere fatto usando la solforosa, e probabilmente non mi accorgerei (ma questo è un mio limite) se siano stati utilizzati lieviti indigeni o lieviti selezionati.
Deve però essere un vino che, anche se giovane, deve mostrare capacità di invecchiamento, potenzialità di miglioramento: deve cioè essere un vino in cambiamento, un vino che tende verso il proprio equilibrio.
Nella teoria atomica, particelle in quiete assoluta non esistono; alcuni vini industriali invece sembrano violare questo principio.
Ogni anno uguali a se stessi, una sicurezza, una garanzia che la scheda organolettica dell’anno prima potrà essere copiata integralmente.
Questi sono i vini che non mi piacciono, costruiti con una precisa idea di target di mercato in mente, aiutato non solo e non tanto da lieviti esterni e solforosa, ma da aggiunte di gomma arabica e di tannino, di acidificanti e di dealcolizzanti.
Lo metti nel bicchiere ed aspetti, ma non succede niente.
Niente.
Immobili, fermi, disegnati.
Un vino naturale può sicuramente essere fatto male e cattivo, ma certo non è statico; può peggiorare anziché migliorare, certamente, ma avrà una curva evolutiva ben chiara, cosa che un vino disegnato dallo stregone di turno non avrà.
Chiaramente la colpa non è dell’enologo, non più di quanto la colpa del traffico a Roma sia dei Vigili Urbani o il ritardo dei treni sia colpa dei Ferrovieri.
Esiste un mercato dove il guadagno deve essere immediato, dove non è più possibile aspettare che il proprio lavoro arrivi a maturazione, ma dove invece il ricavo deve arrivare il prima possibile, in un giro sempre più veloce tra investimenti e ricavi, tra ricavi e investimenti.
Prendete un prodotto come il formaggio, il prosciutto, una salsiccia. A meno di non andarli a comprare in posti specifici è veramente raro trovare formaggi che non siano di plastica, prosciutti che non siano fettine crude, salsicce che non assomiglino a carne tritata il giorno prima ed infilate in una busta di plastica.
L’agricoltura ha i suoi tempi, che derivano da quelli della natura.
Accelerarli non porta ad un buon risultato a lungo termine ma la locuzione Lungo Termine ormai pare bandita da qualunque discorso.
Mercoledì scorso sono stato da Les Vignerons ad una degustazione dei vini di Massimiliano Croci, viticoltore piacentino di Ortrugo e Gutturnio, ne parlerò in un prossimo post. Ci spiegava che lui ha sempre avuto pochi  problemi con insetti e parassiti, perché l’erba tra i filari cresce rigogliosa, e la tignola o il ragnetto rosso sulle sue viti ne ha visti ben pochi.

Così, parlando a me stesso in questo post, ed a voi che lo state leggendo, forse ho trovato una risposta in cui il concetto di naturalità è espresso nella definizione: un buon vino deve tendere all’equilibrio della propria perfezione, e per riuscirci ha naturalmente bisogno di tempo.
In caso contrario, è un vino cattivo.

2 pensiero su “Equilibri esistenziali”

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