(Questo post è stato pubblicato la prima volta su questo sito il 3 dicembre 2011).

Esiste un vino quasi dimenticato, in Italia, i cui produttori negli anni ’70 hanno avuto la malaugurata e pessima idea di rovinare il più possibile.

Il Marsala all’Uovo è stata una delle più orribili scelte commerciali che si possano pensare.
Invece di promuovere questo prodotto, che sta alla pari dei migliori Porto e Madera, si è preferito scegliere un modo per accelerarne la discesa. In questi ultimi anni, forse, si sta ritornando a fare del buon Marsala, cercando di valorizzarne tutte le caratteristiche che lo resero famoso fin dal 1773.
Insomma, questa sembra la storia di come fare a rovinare quello che una volta era uno dei prodotti migliori e più apprezzati dell’enologia italiana.

Quindici giorni fa ho trascorso il fine settimana in un casale a pochi passi da Viterbo, ed alla fine del pasto è stato servito un bicchiere di Marsala Riserva, di una morbidezza di profumi e di gusto che non sentivo da tempo.

Il Marsala è un vino fortificato, o liquoroso, ottenuto cioè aggiungendo acquavite al vino base, ed in alcune tipologie anche del mosto cotto.

Ma andiamo con ordine, che la materia è complessa.

Nel 1773, John Woodhouse a bordo della sua nave Elizabeth si ferma al porto di Marsala (Mars-Allah, il Porto di Dio in arabo) a causa di una tempesta durante il  viaggio dall’Inghilterra verso Mazara del Vallo.

Qui, aspettando che la tempesta si placasse, si ferma nelle osterie e nelle taverne della città, ed incontra un vino che molto gli ricorda lo Xeres spagnolo ed il Porto portoghese.

E’ un vino denso, profumato, un vino che il buon Woodhouse vide subito perfetto da bere negli esclusivi club inglesi. Decise così di spedire in Inghilterra una cinquantina di pipe, botti da 420 litri, e per non farlo rovinare durante la traversata pensò di aggiungere circa il 2% di acquavite.

All’arrivo gli inglesi decretarono immediatamente il successo di questo vino; Woodhouse decise così di rimanere a Marsala dove iniziò ad acquisire vigneti e territori e costruire  il baglio della tonnara del Cannezzo e quello di Petrosino. La parola ‘Baglio’ potrebbe derivare dall’arabo ‘bahah’, che significa cortile, o dal latino ‘ballium’, che indica un cortile recintato da alte mura. Per inciso, anche il termine inglese ‘bailey’ deriva da questa parola, ed indica più propriamente le mura di recinzione di un castello.

Fu in questi cortili che John Woodhouse, aiutato da alcuni cugini fatti venire dall’Inghilterra, installò la produzione del Marsala. Nel frattempo nel resto del mondo si innalzava la stella di Napoleone Bonaparte, che ebbe a scontrarsi più volte in mare aperto contro gli inglesi. A contrapporsi  all’Imperatore era l’Ammiraglio Orazio Nelson, che ebbe modo di conoscere il Marsala durante la sua nomina a Duca di Bronte da parte del re Ferdinando IV di Napoli e dopo la vittoria di Trafalgar contro la flotta francese, il Marsala si potè fregiare dell’appellativo di “Victory Wine”.

Woodhouse iniziò a produrre il suo Marsala utilizzando le uve bianche locali ricche di zucchero, come il Catarratto, l’Inzolia, il Grillo e il Damaschino, e fortificandole con l’acquavite come aveva fatto all’inizio per proteggere il Perpetuo dal viaggio per mare.

Nel 1806, l’anno dopo la morte di Nelson nella battaglia di Trafalgar, giunse a Marsala un altro imprenditore inglese, Benjamin Ingham, che con abilità riuscì ad eclissare la ditta del suo compatriota.

Ingham, produttore di stoffe e commerciante, era noto per riuscire a migliorare i sistemi di produzione dei suoi concorrenti, e lo stesso fece con la produzione del Marsala introducendo, sull’esempio del Porto portoghese, il metodo di invecchiamento Soleras.

Il vino viene versato in una piramide di botti, di solito 5, riempendo per 2/3 solo la botte più in alto, detta ‘criadera’. L’anno successivo si travasa 1/3 di vino nella botte sottostante, rabboccando la criadera nuovamente fino ai 2/3. Il procedimento va avanti fino a che anche la botte al suolo, detta ‘solera’, è piena per 2/3, quando il vino viene imbottigliato; il procedimento si ripete di continuo, quindi in ogni botte è sempre presente una miscela di vini di annate differenti ed invecchiato non meno di cinque anni.

L’attività di Ingham passò poi a Joseph Wittaker, un altro inglese quindi, che continuò in modo proficuo la produzione. E’ solo nel 1832 che un italiano inizia la produzione di Marsala, Vincenzo Florio di Bagnara Calabra.

Agli inizi del XX secolo però il Marsala inizia a decadere, a causa di pratiche commerciali quanto meno poco valide, diventando per quasi tutto il secolo un vino buono quasi esclusivamente per usi da cucina. Intorno al 1980 vengono riscritte e meglio formulate le leggi di produzione, iniziando così una rimonta di qualità che ancora non ha appieno dato i suoi frutti.

La DOC Marsala è compresa nel territorio della provincia di Trapani, con l’esclusione di Alcamo, Favignana e Pantelleria, è un vino liquoroso, o fortificato, ossia un vino base a cui viene aggiunta una certa quantità di acquavite; il disciplinare (documento in pdf, qui in html) definitivo è del 1987, con alcune modifiche nel 1991 e nel 1995.

La sua classificazione è piuttosto complessa.

In funzione del metodo di produzione il Marsala si distingue in Ambra, Oro e Rubino.

I Marsala Ambra ed Oro sono prodotti con uve a bacca bianca, la più nobile Grillo da cui vengono prodotti i migliori Marsala Vergine, o  le profumate Inzolia e Catarratto, il Damaschino..

Il Marsala tipo Ambra è l’unico Marsala ad essere prodotto utilizzando il metodo della concia, ossia l’antica pratica di aggiungere del mosto cotto al vino. Il mosto cotto viene prodotto con mosto di Catarratto, cotto in caldaie di rame per 24 ore. Una volta ridotto della metà del suo volume viene invecchiato per migliorarne le caratteristiche, e solo dopo aggiunto al vino. Un altro tipo di concia è il cosiddetto sifone, o mistella, ottenuto dal mosto di uva Grillo proveniente da vendemmia tardiva e ulteriormente appassita. A questo mosto viene immediatamente aggiunta acquavite così da evitare la fermentazione, riuscendo in questo modo a conservarne la dolcezza.

I Marsala Rubino vengono invece prodotti con le uve a bacca nera, ossia Pignatello, Nero d’Avola e Nerello Mascalese, con un massimo del 30% delle uve a bacca bianca precedenti.

In funzione del metodo di invecchiamento e dalla percentuale di alcool, la classificazione prevede il Marsala Fine, invecchiato minimo 1 anno e 17% di alcool; il Marsala Superiore, invecchiamento minimo 2 anni e 18% in alcool; il Marsala Superiore Riserva, invecchiato almeno 4 anni, 18% di gradazione alcolica. Il Marsala Vergine è chiamato così per sottolineare che non vi è stata alcuna altra aggiunta al vino tranne l’acquavite, e può essere Soleras, invecchiato almeno 5 anni e 18% di alcool, oppure Stravecchio (anche Riserva), invecchiato minimo 10 anni e 18% di alcool.

A volte possiamo trovare nel Marsala Superiore alcune sigle, che risalgono alla tradizione inglese di Ingham, com S.O.M., Superior Old Marsala, G.D., Garibaldi dolce, L.P., London Particular, ma l’uso di queste denominazioni è sempre più scarso e non disciplinato.

Infine, in funzione della dolcezza del vino, definita dalla quantità di zuccheri residui, distinguiamo il Marsala Secco, con zuccheri residui inferiori a 40g/l, Semisecco, con zuccheri tra 40 e 100 g/l, ed infine Marsala Dolce quando gli zuccheri residui superano i 100 g/l.

E’ durante la fermentazione del mosto che viene stabilita la dolcezza che si vuole ottenere. Nei Marsala Semisecco e Dolce la fermentazione viene bloccata al raggiungimento del desiderato quantitativo di zuccheri residui, aggiungendo acquavite di vino E’ a questo punto che si aggiunge, per i Marsala di tipo Ambra, il mosto cotto o il sifone.

La fortificazione del Marsala Vergine Secco viene invece fatta appena terminata la fermentazione, così da essere sicuri che tutto lo zucchero residuo si sia trasformato in alcool.

Al termine della produzione, che come vediamo è abbastanza complessa, il vino viene travasato nelle botti dove invecchierà a seconda della tipologia che si vuole ottenere.

Solo il Marsala Vergine può essere prodotto anche con il già citato metodo della Soleras y Criaderas, e questa tecnica di produzione può essere riportata nell’etichetta.

Il Marsala va servito a 16°, naturalmente non è necessario andarsene in giro con il termometro, ma per dire che non deve assolutamente essere conservato in frigorifero e nemmeno in cucina nel sottolavello vicino al forno.

Le varie tipologie consentono un abbinamento praticamente con ogni tipo di cibo, ma la gradazione alcoolica molto più elevata rispetto a quella di un vino ci farà sicuramente decidere per utilizzarlo  in abbinamento a formaggi o a cassatine siciliane con cannolo croccante in riduzione di Marsala, ancora insieme ad un Marsala Vergine magari Stravecchio, o del panpepato insieme ad un Superiore Riserva Semisecco Ambra.

Con i formaggi è classico, ed anche strepitoso,  l’abbinamento tra gorgonzola e Marsala Superiore Riserva.

Insomma, il Marsala è un mondo da scoprire e da far rinascere.

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