Deve esserci qualcosa che ci è sfuggito di mano, deve esserci, da qualche parte annidato in una tasca di un vecchio pantalone, un virus che si moltiplica e diventa sempre più aggressivo.
L’Italia è stata messa in mora dalla UE perché qui da noi è vietato fare il formaggio con il latte in polvere. E questo non va bene, in questo modo si vieta la libera circolazione delle merci.
Se poi queste merci sono deleterie per i nostri prodotti, dannose per la qualità dei formaggi italiani, non fa niente, dobbiamo farle circolare.
Come ricorda Donatella Cinelli-Colombini, con l’olio accade una cosa simile, non è obbligatorio scrivere in etichetta da dove provenga, aprendo così la strada ad olii fatti con poche olive.

L’abbattimento dei prezzi è una delle misure più pericolose che esistano perché, per starci dentro, la qualità dei prodotti deve diminuire, chi fa prodotti di qualità (dai mobili al pane) diventa fuori mercato ed il consumatore viene abbindolato con la pubblicità, dove si aumenta solo la qualità percepita.
Già, perché oggi niente è più reale ma tutto è percepito.
Il caldo percepito, la crisi percepita, la qualità percepita, l’amicizia percepita.
Compriamo il formaggio di plastica dentro involucri di plastica, e magari ci abbiniamo un vino di plastica da bere in calici di plastica.
Guardiamo spettacoli di plastica, con spettatori di plastica.

Non possiamo evitare che le merci circolino liberamente, ma naturalmente mettiamo un limite alla libera circolazione delle persone, se non sono europee.
Gli agricoltori non possono scambiare tra di loro i semi delle piantagioni, a meno che non sia sotto il controllo di qualche multinazionale degli OGM.

Un’industria è una cosa seria, così come lo sono gli industriali. Certo però che da quando nei consigli di amministrazione siedono gli stessi banchieri a cui devono chiedere i soldi, si sono legati mani, piedi e collo al mattone della speculazione. E attraversare un fiume con un mattone al collo non è proprio salutare.

Dunque, come fa una persona a salvarsi da tutto questo?

La sola arma che ci rimane è la conoscenza

Imparare a leggere le etichette, là dove ancora ci sono, è un buon punto di partenza, ed evitare di acquistare cibi (tra cui metto anche olio e vino) senza provenienza può essere una buona mossa.
Imparare a conoscere i produttori è la mossa successiva.
In Italia abbiamo la fortuna che, da ogni città, basta fare al massimo 25 km per trovare un caseificio, un frantoio, una vigna, un allevamento. Un campo coltivato con asparagi e pomodori.
Artigiani del cibo che non vanno ad EXPO2015 a mescolarsi con hamburger di vario tipo, ma restano nei loro campi, nei loro allevamenti, nelle loro vigne, per farci assaporare gusti diversi.
Lo stesso artigiano che prende su il proprio furgoncino e va al mercato, alla fiera, che si cerca l’esportatore per far conoscere l’enorme varietà di sapori al resto del mondo.

Forse così ci renderemmo conto della differenza tra reale e percepito, probabilmente ci renderemmo conto che fino a quel momento abbiamo messo più impegno a scegliere uno smartphone che a scegliere un formaggio, o una bottiglia di vino, o un pomodoro.
Smettere di accettare un peggioramento della qualità dei cibi che mangiamo, o beviamo, è il primo grande passo per una rivolta consapevole, per non essere più abbindolati dal libero mercato ad immagine e somiglianza di banche e speculatori, di multinazionali del cibo e comitati d’affari.

Un paio di anni fa ho ricomprato i sanitari del bagno. Quelli che avevo erano durati 20 anni senza un graffio o una rottura, ma dovendo fare dei lavori a casa, dovevo necessariamente cambiarli.
Ho girato a lungo, scoprendo negozi e magazzini di tutti i tipi, ma mi rendevo conto che la qualità di quel che vedevo non era la stessa dei miei ventennali lavabo e vasca, bidè e water.
Era solo un pensiero, questo, scusatemi se associo nello stesso post il formaggio fatto con latte in polvere alla tazza del cesso.

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