In un seminario a New York City dedicato a sommelier e commercianti di vino, il mese scorso sono stati mostrati i collegamenti ampelografici fra Oregon e Nuova Zelanda; lo Chardonnay era il vitigno di riferimento. Relatori erano Bree Stock MW in rappresentanza della Oregon Wine Board e il Master Sommelier Cameron Douglas per la New Zealand Winegrowers

Lo Chardonnay dei vulcani

Entrambe le regioni si trovano sul 45° parallelo, Oregon a Nord e lNuova Zelanda a Sud, ed entrambe sono situate nel cosiddetto Ring of Fire, l’anello che attraversa il Pacifico e che contiene il 75% di tutti i vulcani del mondo; questa particolarità è il motivo della complessità dei terreni, ed anche il clima è simile, con temperature generalmente fresche ed alcune zone più calde.

Lo Chardonnay è la terza varietà più coltivata, in entrambe le zone vinicole; con la tendenza del mercato verso i vini bianchi di buona acidità e fruttati, questo è il vitigno ideale. Subisce, più di altri vini, le decisioni del viticoltore in cantina, ed è quindi più malleabile.

Come altri vitigni, ne esistono vari cloni, che è il motivo della sua adattabilità in tutto il mondo; ognuno ha la propria caratteristica, che lo rende più adatto ad alcune aree. Il clone che viene chiamato Mendoza, presente in alcuni vini della Nuova Zelanda, è forse lo stesso clone Wente della California; la famiglia Wente lo riportò dalla Borgogna nel 1912 per i loro vigneti di Livermore, ed è ormai considerato un clone autoctono.

Bree Stock MW ha spiegato che il clone Wente fu portato negli anni ’70 nei vigneti di Cape Mentelle a Margaret River in Australia occidentale da David Hohnen, icona del vino australiano. Da qui arrivò a Malborough, Nuova Zelanda, quando costruì le vigne di Cloudy Bay nel 1985.

Chardonnay dell’Oregon e Chardonnay della Nuova Zelanda

Lo Chardonnay neozelandese è conosciuto per avere uno spiccato aroma fruttato. Con il passare del tempo sia l’Oregon che la Nuova Zelanda hanno trovato il modo di sfruttare meglio l’acidità tipica di questo clone, utilizzando le caratteristiche dei propri territori e spingendo in cantina per evidenziare la complessità.

I due relatori hanno mostrato le differenze e le analogie in una degustazione parallela.

Il primo è stato il Lingua Franca 2016, Bunker Hill dalla Willamette Valley, Oregon: pressato a grappolo intero, fermentato in botte con 11 mesi in rovere francese antico. Una struttura leggera ed una mineralità di alta energia.

Poi è stata la volta del Kumeu River 2014, Coddington Chardonnay (Auckland, Nuova Zelanda) anche questo pressato a grappolo intero, fermentazione con lieviti indigeni e un’intensa mineralità gessosa, note di erbe selvatiche e terra di bosco.

Gli altri due erano il 2017 Neudorf Vineyards, Moutere Chardonnay (Nelson, Nuova Zelanda) ed il 2015 Bethel Heights Vineyard, The High Wire Chardonnay (Eola-Amity Hills, Oregon); il vino neozelandese esprime forte mineralità, spezie tostate e frutti tropicali, rispetto al profumo più intenso di quello americano che tende alla pesca bianca succosa e caprifoglio. 

Entrambi hanno una struttura elegante e una acidità frizzante, come ci si aspetta da questo clone e da queste aree del mondo.

Lo Chardonnay è un vitigno estremamente popolare e mantiene un posto elevato nelle scelte dei consumatori; probabilmente il suo potenziale non è ancora stato esplorato a sufficienza, o forse le alternative di qualità non riescono a raggiungere i mercati per l’esportazione. La tendenza del mercato preferisce vini con livelli di alcol più bassi e di acidità più fresca, e questo limita le opzioni di sperimentazione. 

Photo by Devon Janse van Rensburg on Unsplash

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