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Razzismo alcolico

maglietta_clandestinoDue parole voglio spenderle anche io, sulla questione del vignaiolo razzista.

Se questo fosse solamente un blog dove si parla un po’ di tutto, probabilmente scriverei un post infuocato sui sicuri antenati del tizio e sulle loro abitudini sessuali, o forse mi limiterei a dire che è un cretino. Di sicuro scriverei, come in effetti scrivo, che le sue parole sono l’espressione più becera di una persona (si, è ancora una persona, non una scimmia, capito coso? sei una persona pure tu, e accidenti se ce ne vuole a definirti così) ignorante e malmessa mentalmente.

Visto che però questo è un blog dove, bene o male, si parla di vino, su questo tasto dovrò battere in questo post.

Credo ci siano, nella vicenda, vari livelli di lettura.

Quello sociologico è che il tizio lì è da mettere al bando dal genere umano, o comunque a mandare a ripetizione di Umanità, non solo per le parole che ha detto ma perché le ha dette in pubblico. Le avesse dette mentre stava in campagna a zappettare bon, problemi suoi; più o meno lo stesso se le avesse dette al bar che magari frequenta, poiché molto probabilmente è pieno di tipi simili a lui che gli avrebbero pure battuto le mani.

Invece le ha dette in pubblico, sapendo benissimo (visto che non è uno sciocco: un cretino si, ma non sciocco) il vespaio che avrebbe causato. 

Non è ipocrisia, si badi bene: è una cosa chiamata educazione. Se non sai chi ti sta ascoltando, si sta attenti a misurare le parole. Non i concetti: quelli per carità, possono essere espressi in ogni luogo ed in ogni momento, e ne possiamo parlare, civilmente, quando volete. Ma le parole hanno un peso, e lo hanno ancor di più quando sono le parole usate da quel tizio lì, uguali a quelle di suoi più o meno similari Borghezio, Salvini, Calderoli (parlando con rispetto), giusto per citare i più famigerati.

Capiamoci bene, il consigliere sardo del PD Gianluigi Piras ha scritto su suo profilo frasi ugualmente bestiali a proposito dell’atleta russa Isinbayeva; si è dimesso, ma la imbecillità della persona rimane, uguale uguale a quel vignaiolo friulano. Le sue dimissioni non tolgono insomma nulla alla sua immane stupidità, al suo bacato modo di parlare senza sapere cosa si sta dicendo, alla sua testa piena di fango.

Si può essere in disaccordo, e ripeto, ne venisse di disaccordo, su certi temi: sarebbe il momento del confronto serio e ragionato. Gli insulti invece indicano proprio che non si hanno più argomenti, e quindi si passa al turpiloquio, visto che non si può passare alle mani. 

Dunque, è il peso delle parole a dare il timbro del discorso, quelle parole che ormai spesso vengono usate così, a vanvera, senza minimamente pensare al loro effettivo significato, alla loro importanza ed all’effetto che faranno una volta pronunciate. E’ come quando si litiga, a volte si dicono cose che non si vorrebbero dire, ma ormai le parole sono uscite dalla bocca, e non si possono ritirare. Si può chiedere scusa, certo, ma le ferite provocate rimangono.

La colpa non è di Facebook, intendiamoci: la colpa è la sua che è una bestia, così come lo è il Piras del PD citato sopra o il Salvini della Lega.

La colpa è di chi scrive, non del muro su cui le parole vengono scritte.

Qualche giorno fa, Beppe Grillo ha detto che ormai non si può dire niente, non si può chiamare niente con il proprio nome, perché sono tutti ipocriti. Ecco, anche qui, non è ipocrisia, ma educazione: ipocrisia è  dire una cosa contraria a quel che si pensa per accattivarsi le simpatie di qualcuno, mentre esternare il proprio pur discordante pensiero con frasi civili è, appunto, civile.

Le parole scritte da quel vignaiolo là sono pesanti, fastidiose, imbarazzanti, offensive, dolorose; lo sono per me, che sono bianco e vivo nella mia casa senza aver avuto bisogno di montare su un barcone in balia delle onde per sperare di arrivare da qualche parte dove non mi sparassero addosso. Figuriamoci per le persone contro le quali quelle parole sono state lanciate.

Ecco, lanciate: come quei deficienti che tiravano i sassi dal cavalcavia, far le cose senza pensarci.

Questa non è civiltà, ne è la completa negazione, ed hai bisogno di essere rieducato, sei mesi ai servizi sociali magari in compagnia di un altro tizio che, come te, pensa di poter dire tutto come gli viene in mente, che tanto poi la colpa è dei giudici.

Vuoi vivere da solo e con i tuoi simili? Ne hai il diritto.

Magari in una gabbia dello zoo, se ne troviamo una abbastanza grande e lontana dagli altri animali.

 

Passiamo ora al vino, ma ci spenderò veramente poche parole.

La domanda che molti, ed in effetti per 2,1 microsecondi (cit.) me la sono posta anche io, si pongono è: ora che faccio, li bevo i suoi Pinot Nero? Li vendo (se ho una enoteca) o li verso con atto pubblico giù nel tombino?

Non credo che bere o non bere quei vini faccia la differenza: io non li bevevo prima, posso tranquillamente farne a meno adesso, non è l’unico a fare vino. 

Certo, chi ne ha un paio di casse in magazzino potrebbe pensare che sarà difficile ora riuscire a venderle, l’enotecaro ci ha messo dei soldi e perderli per colpa di un imbecille simile non è bello (nemmeno per colpa di uno intelligente, beninteso).

Potremmo organizzare una colletta, comprare le bottiglie e svuotarle in un pubblico gesto: ma tanto quel vignaiolo là ormai le ha vendute. Fino ad ora.

Penso che ognuno debba fare come vuole: se in una enoteca vedrò esposte le bottiglie di quello, non mi scandalizzerò. 

Però, un bel boicottaggio come si deve, non gli starebbe male, a quel tizio là. 

 

 

 

 

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