A quel che pare, l’Italia ha deciso di muoversi.

Invece di rimanere ferma mentre tutto il resto del mondo va avanti, il Parlamento Italiano ed il Governo hanno preso la decisione di tornare indietro.

Mi riferisco a quell’insulso insieme di normative contenute sia nel decreto Destinazione Italia che in un paio di iniziative di legge a firma di Edoardo Fanucci (PD) e sponsorizzato da Francesco Boccia (PD), normative che riguardano la vendita di beni e servizi su Internet, la cosiddetta WebTax, l’accisa su smartphone e tablet chiamata Equo Compenso e che andrà tutta alla SIAE, il regolamento AGCOM che conferisce ad una Agenzia poteri esecutivi e giudiziari,  la regolamentazione del diritto d’autore, gli sgravi sui libri.

Partiamo da quest’ultima. E’ previsto che si possano detrarre le spese sostenute per l’acquisto di libri; significa che quando fate il 730 a maggio, insieme alle spese mediche potete aggiungere le spese per libri, ed usufruire della detrazione fiscale del 19%. Non è molto, ma non ci possiamo lamentare, con questi chiari di luna.

Vengono però citati solo libri ‘cartacei’, che hanno IVA al 4%, quindi niente e-book; alla fine, facendosi i conti, potremmo pagare i libri di carta meno di un libro digitale, con tutto vantaggio delle grandi case editrici che continuano a stampare i libri come ai tempi di Gutemberg. Ricordo che gli e-book hanno IVA al 22%.

La WebTax per raschiare il fondo

Ha fatto ancora più scalpore, sul web ovviamente perché l’informazione classica non ha detto praticamente manco una parola, la #WebTax, una proposta di legge approvata in commissione Bilancio della Camera, che prevede che ogni azienda che vende beni e servizi in Italia debba avere la partita IVA italiana. Per fare un esempio, la ditta tedesca che fa capolino dai vostri bannerini AdSense sul vostro blog (e talvolta anche su questo), o si fa una partita IVA in Italia oppure non potrà acquistare il vostro spazio pubblicitario.  Non ci facciamo una gran bella figura, nel resto del mondo. Ma già, che ci frega del resto del mondo, noi siamo l’Italia, aho!

Il problema della tassazione può essere serio, siamo nell’era della globalizzazione ed i servizi sono diffusi, virtuali, ma la soluzione non può essere autarchica, e la WebTax al grido di ‘ce l’abbiamo solo noi!’ non è proprio una bella cosa. L’articolo di oggi su La Stampa, a firma di Federico Guerrinievidenzia le difficoltà tecniche a cui andrà incontro l’applicazione di questa norma. Oltretutto, sottolinea l’articolo, si parla di IVA, non di tasse sul reddito, una cosa ben diversa.

Se si vuole trovare una soluzione deve necessariamente passare per una legge europea, altrimenti rimarremo ai margini, ancor di più di ora, della nuvola digitale. Inoltre, già da parecchio si parla di tassazione delle grandi Internet companies, quindi basterebbe partecipare ai dibattiti.

Tra l’altro non è nemmeno stimabile l’eventuale gettito che si otterrebbe da una tale tassa, il che fa venir meno qualunque serietà contabile  (serietà contabile? in Italia?).

Si deve tenere in considerazione oltretutto che, in base al principio di reciprocità, anche le aziende italiane potrebbero essere obbligate ad aprirsi una partita IVA in ognuno dei 27 paesi dell’UE, se vogliono vendere i propri beni e servizi on line. Una gran comodità, immagino, soprattutto per tutte quelle piccole aziende che oggi sono bastonate dalle tasse. Magari prenderanno domicilio fiscale in Irlanda.

Non finisce qui.

Un compenso non equo

Vogliamo parlare dell’Equo Compenso, proposto dal Ministro della Cultura Massimo Bray, una tassa ‘a prescindere’ su smartphone e tablet, che ‘potrebbero’ essere usati per scaricare file protetti dal diritto d’autore? E’ lo stesso principio della tassa che si paga su masterizzatori e supporti ottici come CD e DVD. E’ lo stesso principio, tra l’altro, della tassa che si paga sulle risme di carta bianca per fotocopie perché in teoria, potenzialmente cioè, potrebbero essere usate per fare illegalmente fotocopie di libri. La tassa andrebbe a finire tutta nelle tasche della SIAE.

Ancora, la normativa sul diritto d’autore che trasforma in legge una disposizione dell’AGCOM.

Se cioè non viene pagato un giusto compenso, stabilito dal proprietario della notizia, o dal suo editore, non si potranno non solo aggregare contenuti (che verrebbero letti da un Feed Reader), ma in teoria nemmeno mettere il link a quella notizia.

Quindi, i link che compaiono su questo post sarebbero tutti completamente illegali, visto che non ho pagato un soldo a nessuno degli autori citati o  i loro editori.

Tutto questo è spiegato molto bene, e molto meglio, su Tech Economy da Stefano Epifani (@stefanoepifani). Subito dopo, potete leggere questo tumblr, con un reblog al post di @paologiovine. Se invece vi piace ascoltare, più che leggere, vi consiglio il podcast di 2024, la trasmissione sulle nuove tecnologie di Radio24 a cura di Enrico Pagliarini (@e-pagliarini).

Questo post c’entra poco con il vino, lo so.

Però c’entra molto con la libertà di stampa, con la possibilità di scrivere un post o un articolo e di citare le fonti come vuole sia il buon senso che il buon giornalismo.

Cosa che se passa questo disastroso insieme di normative, non sarà più possibile.

A volte così, mi viene un dubbio, sembra che in Italia siamo governati da incompetenti.

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