Australia WinesLà sotto, Down Under, in Australia insomma deve esserci qualcosa che non va, per quel che riguarda il vino.

Avevo già scritto, parlando dei metodi utilizzati per trasportare vino sfuso, che le grandi aziende vinicole australiane avevano qualche problema a piazzare il proprio vino, soprattutto a causa della forza della loro moneta che rende difficile l’export.

Bene, è di qualche giorno fa la notizia che il maggior produttore australiano di vini, la Treasury Wine Estates, ha deciso di distruggere un valore di 35 milioni di Dollari (USA) di vino giacente nei magazzini americani e che rischia di invecchiare senza che nessuno se lo compri. La TWE possiede anche altre etichette, come ad esempio Beringer e Souverain negli USA, Rosemount, Jamieson’s run e Yarra Ridge in Australia, e soprattutto Penfold, marchio le cui bottiglie vengono vendute anche a 1000$ l’una. Quasi sicuramente dentro quei 35 milioni ci sarà anche parte del prodotto di questi altri brand. Una cosa mai vista.

Inoltre la TWE prevede che le bottiglie vendute negli USA passeranno dai 120 milioni di bottiglie del 2012 ai poco più di 12 milioni del 2014; in termini di fatturato significa spostarsi dai 145 M$ del 2012 ai poco più di 25 M$ del 2014. Una diminuzione del 90% in volumi, di 5/6 nei ricavi. Mica poco. Lunedì il titolo TWE alla borsa di Sidney ha perso il 12%. 

E’ evidente la difficoltà del vino australiano, ma era chiaro che sarebbe accaduto quando, negli anni ’90, le vendite, e di pari passo la produzione, iniziarono a decollare.

Fino al 2005 il vino australiano era il vino da imitare, grazie anche a particolari e generose recensioni da parte di The Wine Advocate; nel 2004 l’Australia divenne il secondo fornitore di vino negli USA, scalzando anche la Francia ed insediando da vicino l’Italia.

Il fenomeno basato quasi esclusivamente sul marketing, nel 2005/2006 iniziò a sgonfiarsi, soprattutto quando negli USA si accorsero che molti dei vini australiani che compravano, nella terra d’origine erano quasi sconosciuti. Come ricorda Jancis Robinson in un suo articolo del 2009, il nuovo responsabile per l’Australia di The Wine Advocate ammise che gli americani erano alquanto sconcertati dai vini australiani e non erano più il grande amore di un decennio prima.

Non solo, anche la Gran Bretagna, storico e, pareva, assodato mercato del vino australiano,

Australian Wine Map
Mappa del vino in Australia – Chasing the Vine blog

iniziò a comprare meno vino pregiato, dirigendosi verso il mercato di fascia bassa o addirittura dello sfuso; qui l’Australia ha come grandi concorrenti la Nuova Zelanda ed il Sudafrica.

Non ultimo, il cambio sfavorevole all’export del dollaro australiano non aiuta nella vendita, facendo risultare il vino del canguro il meno a buon mercato negli scaffali dei discount americani.

Così, come rapida è stata la crescita altrettanto rapida è stata la discesa, quasi una caduta libera; oltretutto, essendo i vini australiani di basso tenore alcolico, come ad esempio un improbabile Zinfandel bianco (…), non reggerebbero nemmeno due anni in bottiglia. Ecco spiegata, anche se forse troppo velocemente, la decisione di TWE di distruggere centinaia di migliaia di bottiglie di vino australiano già presenti nei magazzini americani.

Parte di questo vino verrà rivenduto ai distillatori, ma un vino già imbottigliato non è di semplice utilizzo in una distilleria; le perdite verranno in ogni caso ridotte visto che gli USA potranno risarcire le tasse già pagate per il vino che verrà distrutto.

Tutto questo dovrebbe portarci qualche insegnamento.

Ricordo che quando frequentavo il corso AIS per diventare Sommelier, ci presentavano il vino australiano come il traguardo da raggiungere anche per i vignaioli italiani, ci facevano vedere filmati dove veniva usato l’elicottero per verificare lo stato di salute dei vigneti (ognuno di dimensione media come la provincia di Milano, come dice Antonio Tomacelli su Intravino), ed il satellite per prevedere il tempo che si sarebbe presentato sopra le viti al momento della vendemmia.

Insomma, ricordo di aver pensato anche io che l’Australia era diventata il paradiso del vino e della tecnologia enologica, un esempio da imitare per tirarsi fuori dalla solita retorica del vino del contadino.

Invece, a quanto pare, è ancora il contadino ad aver ragione.

3 pensiero su “Wine down under”
  1. Avevo letto la notizia, associandola immediatamente a un’altra più datata ma ugualmente rilevante: nel 2011 l’Australia fu tra i pochi paesi produttori a segnare un deciso incremento delle superfici vitate (mi sembra di ricordare 12%), secondo solo a quello della Cina e maggiore, ad esempio, rispetto a quello della Nuova Zelanda. Ora, immaginiamo la lungimiranza e la capacità previsionale di un qualsiasi ministero, associazione di categoria o altro ente di coordinamento e regolazione, il quale interpreti la realtà e ipotizzi gli sviluppi guidando un’espansione così smodata, incapace di prevedere un oceano di invenduto a soli dodici mesi data…

  2. Direi che se dietro non hai almeno un po’ di qualità, non basta farsi vedere ggiovani e intraprendenti.
    Lieto di averti rivisto qui 🙂

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