World Wine Web

World Wine Web – Numero 14


 

 

Scommetto che eravate già saltati sulla sedia a leggere la notizia che la Cina aveva superato la Francia come superficie vitata. Bene, in parte è vero ma solo se consideriamo anche l’uva da tavola. Infatti, degli 800.000 ettari di vigneto cinese, ben 730.000 sono di uva da tavola. Dei rimanenti 70.000 dedicati alla produzione di vino , ben 40.000 sono di proprietà di Nigxia, il maggior produttore di vino cinese. In ogni caso, i rapporti dell’OIV mettono in evidenza che le superfici vitate diminuiscono mentre aumenta la produzione di vino, con ovvio aumento delle rese.  

Come si dice, ‘In vino, veritas’. Bene, non è così solo da noi; anche in Corea (quella vera, la Corea del Sud) vale lo stesso principio, sebbene lo esprimano in modo differente. I coreani, ci racconta Christopher Cha per la CNN, sul lavoro sembrano un popolo piuttosto freddo, quasi impersonale. Ma se vi capita di lavorare in Corea e vi offrono un bicchiere di soju (燒酒 in coreano, un distillato di riso, orzo oppure frumento), allora è ufficialmente iniziato lo hoesik, il momento in cui grazie all’alcool ognuno può dire tutto quel che pensa del lavoro e delle persone attorno a se. Fantastica abitudine. La voglio importare anche qui da noi, come si fa?

Quando comprate qualcosa, qualsiasi cosa, un orologio, un cellulare, una bottiglia di vino, una bambola gonfiabile, pagandola una paccata di soldi, nessuno vi leverà dalla mente di aver fatto un ottimo affare, e troverete soltanto pregi e praticamente nessun difetto nell’oggetto che avete appena portato a casa, e che vostra moglie accoglierà col solito “Ma ne avevamo davvero bisogno?” (tranne che per la bambola gonfiabile, immagino). Bene, sappiate che i vostri sforzi per esaltare il vostro acquisto dipendono dal vostro cervello. Uno studio di marketing ha dimostrato che se il prezzo del vino che state assaggiando è alto, allora i giudizi dei degustatori saranno praticamente entusiasti. Ora, io non so se ridere o strapparmi quei pochi capelli rimasti, se pensare ad una inversione tra causa ed effetto o se, semplicemente, pensare che i market-men americani abbiano semplicemente dimostrato un’ovvietà.

Che ci sia sempre da imparare non lo scopro certo io. ‘So di non sapere’ diceva Socrate, ed io di questo ne so parecchio. Quindi, non stupitevi se sul vino, anche la Cina può insegnare qualcosa a noi occidentali. Basta leggere l’intervista a Jeannie Cho Lee su Food&Wine. Impareremo che nessun sommelier cinese abbinerebbe mai la cucina cantonese con un Gewurtztraminer, o che la grande varietà di piatti a base di riso (riso con pollo, riso con manzo, riso con pesce, riso con verdure…. tutti abbiamo mangiato dal cinese, no?) rende interessante ogni abbinamento tra vino e cibo. D’altra parte, ci die Cho Lee, i cinesi sono abituati alla varietà di sapori ed aromi del vino, perché hanno nella loro tradizione il thé con tutte le sue gradazioni di tannini, di aromi, di colori e di gusti. Alla fine dell’articolo fornisce qualche consiglio di abbinamento tra vino e cibo cinese, dando praticamente agli americani dell’incompetente per quel che riguarda il vino. Quindi, quando andate dal cinese sotto casa, portatevi una bottiglia di Pinot Grigio, di Albarino o di Pinot Noir.  

E’ nata la prima associazione commerciale tra produttori di vino in Cina. Sono 17 le associazioni cinesi di produttori che si sono riunite per formare la China Wine Associations Alliance, un’organizzazione che si propone di migliorare il commercio interno del vino, migliorando i rapporti commerciali tra produttori e distributori locali e incentivandone il consumo.

Per finire, una storia piuttosto sconosciuta. Nel 1973, grazie ad indagini del fisco francese, venne scoperta una grossa truffa ai danni del vino di Bordeaux. Gli investigatori francesi scoprirono infatti che un importante importatore di vino, che lavorava per la famosa azienda Cruse che esportava vino di Bordeaux in tutto il mondo, acquistava vini sfusi della Languedoc, li mescolava con un po’ di vino locale, magari ne migliorava il grado alcolico aggiungendo zuccheri (pratica consentita in Francia) oltre il limite lecito, e poi li etichettava come Saint-Emillon, Pomerol o Medoc. Sul blog Invisible Bordeaux la storia viene riportata a galla dopo 40 anni.

 

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