
E’ estate, ripropongo un precedente articolo sul Libano, con una nuova degustazione: lo Chateau Musar Blanc 1989.
Non è un mistero che i vini di Chateau Musar a me piacciano parecchio, e se volete trovare qualche nota di degustazione, le trovate qui, qui e qui.
Ma soprattutto faremo una visita, virtuale, in un luogo antico, verde un tempo ed ora eroso dalla guerra e dalla stupidità umana, contro la quale anche gli dei lottano invano, come recitava il titolo di un mio vecchio blog riprendendo una frase di Schiller.
Andremo in Libano, e sicuramente la sua storia e quella del vino sono strettamente legate.
I fenici, che abitavano queste terre quattromila anni fa, avevano introdotto la coltivazione della vite ed il commercio del vino trasportandolo nelle anfore con le loro navi, partendo dai porti di Tiro e Sidone fin sulle tavole del Faraone.
E forse i fenici importarono la vite da Babilonia, nell’attuale Iraq, dove il vino era conosciuto da molti secoli come riportano anche alcuni passi dell’epopea di Gilgamesh.
Ma basta così, perché la storia si farebbe piuttosto lunga.
Veniamo invece ai giorni nostri, precisamente al 1930 quando Gaston Hochar tornò in Libano dalla Francia e creò Chateau Musar all’interno di un castello Mzar (fortezza) del XVII secolo, a circa 25 km da Beirut; la gestione dal 1956 è passata ai suoi due figli Ronald ed in particolare Serge; nel 1984 ricevette la copertina di Decanter Magazine che lo nominò Uomo del Vino dell’anno non solo per la sua bravura nel fare vino, ma particolarmente per la costanza ed il coraggio avuti a rimanere vicino alle sue vigne nonostante la sanguinosa e decennale guerra civile che devastava questa terra.
Oggi la produzione di vini naturali è una realtà ben consolidata, ma Serge Hochar produce vino in questo modo fin da quando ha iniziato, cinquanta anni fa.
Poco legno, la maggior parte del vino rimane a fermentare in vasche di cemento, ed ogni bottiglia è incapsulata a mano, seguendo il principio che ogni bottiglia non può essere uguale ad un’altra. Uso attento della solforosa nei bianchi e poco o niente nei rossi, lieviti naturali e banditi completamente i concimi chimici.
I vini prodotti da Chateau Musar esprimono la filosofia di Serge Hochar, quando dice che il vino deve riflettere il gusto del territorio dell’annata con tutte le sue caratteristiche dominanti.
E dunque, vediamo le caratteristiche.
Chateau Musar è situato nella valle della Bekaa ( o Beqà’), sede dell’antica città di Baalbek, il più importante sito storico e archeologico del Libano, dove furono eretti dai Romani dei magnifici templi a Giove, Venere e, il più grande di tutti, proprio a Bacco.
Il clima nella vallata è tipicamente mediterraneo, con inverni umidi e non freddi ed estati piuttosto secche e calde. Le precipitazioni piovose sono limitate grazie alle montagne del Libano che creano una barriera naturale per le nubi provenienti dal mare e due fiumi solcano la vallata, l’Oronte che scorre verso la Siria, ed il Litani, che invece scorre in direzione sud per poi gettarsi, ad ovest, nel Mediterraneo.
I vigneti di Chateau Musar sono disposti ad una altitudine di circa 1000 metri, questo permette di avere temperature più miti durante il giorno, mentre la notte sono i due fiumi a fare da regolatori termici.
I vini rossi vengono prodotti con Cabernet Sauvignon, Cinsault e Carignan, che trovano nel terreno argillo calcareo e ghiaioso un perfetto habitat.
I vini bianchi provengono da due vitigni differenti, l’Obeideh ed il Merwah, il primo progenitore di chardonnay e chasselas, di semillion il secondo; molto probabilmente queste piante furono portate in Francia durante il ritorno dei soldati dalle crociate.
Possiamo dire, se proprio abbiamo necessità di fare confronti, che i rossi sono tipicamente bordolesi, ma sarebbe una descrizione limitativa, sia per Chateau Musar che per Bordeaux. I terreni ed i climi sono comunque diversi, e molto fa lo stile di vinificazione: cosa è meglio, un vino che possiede le caratteristiche del luogo dove nasce o un vino che rispetta gli standard che il mercato ha stabilito?
La differenza sta tutta qui, nella cura della vigna e soprattutto nella scelta di usare lieviti indigeni, che possono svilupparsi solo in quel particolare territorio.
La vendemmia dei bianchi avviene in genere entro la prima quindicina di ottobre, le uve vengono fatte fermentare separatamente in barrique di quercia e poi tenute a maturare per altri nove mesi. Il vino viene poi miscelato, imbottigliato, e mantenuto altri 4 anni in bottiglia prima di essere immesso in commercio, secondo la tradizione bordolese.
Il vino da me assaggiato era lo Chateau Musar Blanc 1989, una vera e propria delizia per la vista, l’olfatto ed il gusto, servito ad una temperatura di cantina, ossia attorno ai 15°.
Un colore di oro pallido non solo luminoso ma quasi brillante, ed il naso che si riempie di miele, noci, fichi canditi ed infine burro salato e albicocca. Un profumo intenso, persistente e profondo.
Al palato è immediato sentire il gusto di arancia caramellata, e c’è una sintonia perfetta tra olfatto e gusto; l’acidità e la sapidità sono poi il complemento della morbidezza fruttosa e di caramello, lasciando la bocca perfettamente pulita per un secondo assaggio, con una lunghezza veramente impressionante.
Il piatto a cui si accompagnava questa delizia era un filetto avvolto nel bacon.