Il titolo di questo post riprende un vecchio articolo della rivista Porthos, ma al posto di ‘sostenitore di Trump’ c’era un epiteto rivolto ad un produttore di vino. La storia però sembra più o meno analoga e riguarda ancora Trump ed il vino.

Le elezioni, Trump ed il vino

La scorsa settimana esce un articolo su Vinepair dove vengono riportate le aziende legate al mondo del vino che più di tutte hanno contribuito alle donazioni a Donald Trump nel periodo 2016-2020. In totale si tratta di 600mila dollari. La storia è stata raccontata anche su Intravino, dove l’ho letta per la prima volta.

La fonte è una infografica della American Association of Wine Economists, AAWE postata sul loro account Twitter. Qui potete scaricare un foglio xls con i dati.

Il primo sostenitore è Marvin Shanken, editor di Wine Spectator, con 185mila dollari, quindi in realtà non un’azienda che produce vini, ma sicuramente un peso importante nel wine business americano.
Al secondo posto c’è Jordan Winery con 75mila dollari e poi via via altre cifre che per gli standard delle campagne elettorali USA sono piuttosto basse, come i 3000 dollari di Thornton Winery. Ci sono un paio di wine bar e l’associazione dei consulenti del vino.
In totale è una lista con i primi 20 sostenitori, che come dicevo hanno dato in totale 600mila dollari. Tolti i 185mila di Wine spectator arriviamo a 425mila, e 14 di questi hanno staccato assegni non superiori a 20mila dollari.
Questo, giusto per inquadrare le cifre.

I candidati del partito democratico, in totale, hanno ricevuto circa 175mila dollari in totale dall’industria del vino. Bernie Sanders ha avuto più donazioni di Joe Biden, l’attuale candidato Democratico.

Sostegno schiacciante?

Naturalmente alcuni singoli produttori possono aver fatto donazioni per l’uno o l’altro candidato, ma eventualmente l’hanno fatto come soggetti privati, non come azienda. I contributi elettorali sono detraibili dalle tasse.
Ora, non c’è niente di male in tutto questo, e l’articolo di Vinepair se la prende non con i sostenitori di Trump, ma piuttosto con quello che la AAWE ha scritto nel tweet, affermando che tutto il wine business USA appoggia Trump.

Letteralmete, il post dice che l’industria del vino degli stati uniti supporta in modo schiacciante il presidente Trump.
La Jordan Winery ha contestato il report, affermando che quella cifra è stata donata per altri motivi, ma è andata a finire nella lista delle donazioni elettorali. La burocrazia fiscale USA è piuttosto complicata, come tutte le burocrazie fiscali.
La questione potrebbe essere finita qui, ma qualcuno afferma che no, l’industria del vino non supporta Trump.

O forse no?

Chi lo scrive è Tom Wark, autore del blog Fermentation, strenuo avversario dei metodi naturali e biodinamici, che si batte da sempre per eliminare dazi e impedimenti che rendono difficile negli Stati Uniti vendere vino da uno stato all’altro.
Cosa dice il buon vecchio Tom?
I numeri sono fuorvianti, dice, perché nel totale ci sono anche le donazioni fatte per la prima campagna elettorale del 2016, mentre Biden e Sanders si sono candidati solo nel 2019, e quindi è normale che abbiano ricevuto meno soldi. E, continua su Fermentation, se sommiamo tutte le donazioni dal 2015 al 2020, Hillary Clinton ha ricevuto quasi 1 milione e mezzo di dollari, ossia più del doppio del tychoon presidenziale.
E’ interessante la frase di Karl Storchmann, editor del Wine Economist Journal, intervistato da Tim McKirdy di Vinepair. Dice Storchmann: ‘cosa qualifica il supporto ad un candidato? Io sono un economista, per me, l’opinione si esprime in dollari’.

Ossia, la frase ‘schiacciante supporto‘ è perfettamente legittima, visto l’ammontare di dollari alla campagna elettorale di Trump e provenienti dall’industria del vino.
Se vi serve la mia opinione, direi che grandi aziende, siano produttori di vino, wine bar o importanti magazine del vino, è normale che partecipino alle donazioni elettorali. Serve non solo per scaricare qualche soldo dalle tasse, ma soprattutto per andarsi a congratulare con il vincitore a novembre, chiunque esso sia, sapendo di stare nella lista di quelli che hanno contribuito. Addirittura è normale che grandi aziende finanzino, anche se per cifre differenti, entrambi i candidati. E’ il meccanismo delle lobbies, i gruppi di potere.

Lobby del vino? Non proprio

Certo, è tutto sulla carta, nero su bianco, ma questo non toglie che fanno una opera di pressione sulle politiche dei candidati. Un unico soggetto può contribuire per 180mila dollari, ma le persone comuni spesso non contribuiscono per più di 100 o 200 dollari. Quindi per raggiungere la stessa cifra occorre più gente, e se il tuo bacino elettorale è rappresentato dalla fascia più povera della popolazione, risulta difficile competere con chi  ha dalla sua le grandi aziende, banche e società del paese. Che sia tutto alla luce del sole, non cambia di una virgola il peso del potere che hanno le lobbies.
E’ però secondo me sbagliato dire che l’industria del vino americana supporta Trump perché vuole fare politiche protezioniste del mercato.

A lui del vino, anche se è proprietario di una azienda vinicola, non credo importi molto. I famosi dazi contro il vino europeo sono nati per rispondere alla querelle fra Boeing e Airbus, nella fornitura di aerei alle compagnie mondiali più grandi. Ne ho scritto in questo post.
E quando sono stati introdotti i dazi, non tutti sono stati contenti negli USA, visto che i ristoranti più famosi e la grande distribuzione organizzata hanno nei loro listini decine di vini francesi e italiani. Un aumento dei prezzi del 20% non è un buon affare, per loro. A dirla tutta, l’interpretazione di Fermentation sembra un po’ di parte (e come poteva non esserlo?); per come li leggo io forse è proprio Tom Wark che mescola mele con pere. Ma alla fine, è un problema loro.
Insomma, la campagna elettorale passa pure per le bottiglie di vino, usate come clava piuttosto che come motivo principale.

Photo by Brandon Mowinkel on Unsplash

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