Le bottiglie sembrano essere sempre buone contenitrici di misteri.
I messaggi in bottiglia ritrovati a decenni di distanza, spesso senza mai raggiungere il destinatario, sono quelli che certamente scatenano la fantasia: a molti è venuto in mente, guardando il mare, di infilare un bigliettino in una bottiglia di vetro, tapparla bene, e lanciarla al largo. Ad esempio Sting, che di bottiglie se ne dovrebbe intendere.
Oppure possiamo pensare alle navi in bottiglia, veri e propri gioielli costruiti con strumenti e pazienza da gioiellieri, bottiglie a volte ritrovate in cantine polverose e che potevano contenere tutto intero l’equipaggio di una nave, come nella serie di sceneggiati degli anni ’60 intitolata I Pirati della Filibusta, con la sigla cantata da Enrico Maria Papes (che poi avrebbe fatto parte del gruppo I Giganti).

Forse qualcuno ricorda.

Misteri, navi e bottiglie: tutto questo non poteva non ispirare Robert Louis Stevenson, l’autore dei più famosi L’Isola del Tesoro, de Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde e di La Freccia Nera, da cui venne ripreso il famoso sceneggiato RAI degli anni ’60 (e torniamo a 50 anni fa ancora).
Il diavolo, dunque, è una di quelle cose che probabilmente non ci si aspetta di trovare in una bottiglia: ci si possono trovare i fondi del vino, i resti polverosi di una mistura di frutta ormai evaporata, ma un diavolo no.

Nel racconto Il diavolo nella bottiglia, il luciferino abitante degli inferi abita proprio in una bottiglia di vetro ben tappata, e si mostra una sola volta, quando il protagonista umano della storia, Keawe, concede all’amico Lopaka a cui venderà la bottiglia, di guardare in faccia il diavolo.

Stevenson a Samoa
Stevenson a Samoa nel 1891

E l’esperienza è davvero spaventosa, sebbene duri solo un attimo, tanto che Keawe non vede l’ora di mandare via lontano da se il proprio amico con la bottiglia indemoniata.

La bottiglia, o meglio il suo demoniaco occupante, ha il potere di realizzare ogni desiderio, e come è prassi di ogni diavolo alla fine qualcuno dovrà rimetterci l’anima.

Come spiega lo stesso uomo che venderà la bottiglia a Keawe, questa non può essere gettata via, né tantomeno distrutta o regalata: bisogna venderla, ma ad un prezzo inferiore a quanto la si è pagata. L’ultimo proprietario, chi quindi non riuscirà a venderla prima di morire, vedrà perdersi la propria anima nelle fiamme infernali.
Keawe usa i poteri del diavolo in bottiglia per costruire la casa in cui andrà ad abitare dopo aver sposato l’amata Kokua, e la su disavventura inizierà proprio quando cercherà di recuperarla per tentare di guarire dalla lebbra contratta prima di sposarsi: alla fine la ritrova e la acquista per un centesimo.

Stevenson bottiglie

La sua guarigione è però anche l’inizio del suo strazio interiore: come farà a rivenderla, se ora costa solo un centesimo, cosa c’è di meno di un centesimo?
Ma è semplice, suggerisce Kokua, basta andare in posti dove con un centesimo (americano) si possono prendere anche cinque centesimi locali, e quindi ecco che si può rivenderla al prezzo inferiore.

Le donne, si sa, ne sanno una più del diavolo.
Già, ma chi comprerebbe una bottiglia indemoniata, senza poterla rivendere e sapendo che così brucerà la propria anima all’inferno?

Il racconto è breve e ad una prima lettura appare molto semplice e lineare, ma in fin dei conti non lo è affatto, e riprende uno dei temi che spesso si ritrovano nei romanzi e nei racconti di Stevenson: un personaggio diviso tra il Bene ed il Male, che non si accorge di aver bisogno del Male fin quando il Bene non gli viene a mancare, o rischia di perderlo; in questo caso la felicità della giovane e bella moglie.

A proposito, avete ancora con voi quella bottiglia con l’etichetta tanto stuzzicante acquistata dal rigattiere? 

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