03 Poussin - Baccanale con suonatrice di liuto
Nicolas Poussin, Baccanale con suonatrice di liuto, 1627, Louvre

“Che tragedia, è finito il vino!”
Sembra una frase banale, per quanto triste, eppure rinchiude in se più o meno duemila e cinquecento anni di storia.
Vino e tragedia hanno un legame intimo, come tra padre e figlia, in cui una non potrebbe esistere senza l’altro.
Iniziamo dall’etimologia della parola Tragedia, che può significare tanto Canto del Caprone come Canto per il Caprone.
Nel primo caso si intende l’abitudine, durante i riti dionisiaci, di travestirsi da caproni per simulare il sacrificio di questo animale a Diònisio; nel secondo invece si rimanda ad una specie di gara, nata probabilmente ancor prima di Eschilo, tra danzatori e cantanti ed il cui vincitore avrebbe avuto in premio, appunto, una capra.
Personalmente mi convince, o meglio mi piace, più la prima interpretazione: Diòniso, inizialmente dio della vegetazione, poi identificato con la vite e con il vino, amante e fautore dell’estasi e della liberazione dei sensi, odiava capre e caproni, perché abitudinalmente entravano nelle vigne e danneggiavano le viti.
Così si prese l’abitudine di sacrificare una capra al dio; in tempi di crisi però, sembrava poco saggio immolare e rovinare tanta buona carne.

Così i greci pensarono ad un trucco, travestendo alcuni di loro con pelli di capra e sporcandoli di sangue, ingannavano Diònisio facendogli credere che la capra fosse stata veramente sacrificata.
Lui era contento, i greci anche, il caprone un po’ meno.
Quale che sia la vera storia, sicuramente la parola Tragedia è formata da “tràgos”, caprone, e “oidè”, canto (da cui anche ‘ode’), così che sembrano corrette entrambe le interpretazioni.
Oppure ha ragione Aristotele che spiegava che la tragedia si origina dai drammi satireschi, ossia l’imitazione, a volte grottesca, di reali fatti accaduti; i personaggi erano travestiti da satiri, tipicamente rappresentati dal caprone, e capre ed agnelli erano animali sacri a Diòniso.
Insomma, la confusione sulle origini è piuttosto ampia; fatto sta che vino e tragedia sono legati dallo stesso protettore, Diòniso, il dio selvatico, il dio dell’improvvisazione e della situazione assurda, legato alla vite che muore e rinasce ogni anno ed ogni anno fornisce frutti che regalano un vino mutevole. 

William-Adolphe Bouguereau, La giovinezza di Bacco, 1884
William-Adolphe Bouguereau, La giovinezza di Bacco, 1884

Le rappresentazioni teatrali a lui erano dedicate, e si lasciava un posto vuoto in prima fila dedicato al dio.
 
Un accenno, sebbene qui si debba parlare di vino, è obbligatorio per Eschilo, Sofocle ed Euripide, coloro che determinarono le regole dello svolgimento della tragedia, facendo uscire dal coro un attore (il Protagonista, ossia Proto Agonista, quindi colui che dà inizio all’azione, tesi che si accorda all’interpretazione di ‘Canto per il Caprone’ citata inizialmente); gli attori diventarono poi due ed infine tre.

Tragedie che vedono il vino al centro della rappresentazione non ne esistono molte, tranne che sugli scaffali di qualche GDO o nella carta di certi ristoranti, ma naturalmente bisogna almeno citare Le Baccanti, di Euripide.

Diòniso arriva a Tebe e per provare a Pènteo, re della città, di essere veramente un dio e non un essere umano, genera una scintilla di follia in tutte le donne tebane. che fuggono su un monte e si sfrenano nei riti in onore di Dioniso, i Baccanali.

La follia aumenta, le donne riescono a far sgorgare latte, miele e vino dalle rocce, scendono a valle, mettono a soqquadro i villaggi che trovano nel loro cammino.
Il re di Tebe, nonostante tutto, non vuole convincersi che Diòniso sia un dio, così viene ingannato e portato sul monte dove le stesse Baccanti lo uccideranno.

E’ una tragedia, quindi racconta di passioni e storie finite male; Diòniso diventerà Bacco, nella mitologia dei Romani, una figura sicuramente meno bizzarra, più allegra e meno inquietante di quella nata in Grecia, ma certo meno intrigante ed interessante.

Finiamo con un estratto, una antistrofa che il secondo coro esegue nel momento in cui Diòniso, travestito da viandante, viene portato in catene di fronte a Pènteo:

   Dïòniso, figliuol di Giove, allegrasi
   nel tripudio, e la Pace ama, che agli uomini
   vita felice e pargoli
   largisce; e in dono al misero
   offre, non meno che al beato, il gaudio
   del vino, dove ogni dolore annegasi.
   E odia quei che spregiano
   in esultanza consumare i fulgidi
   giorni e le notti amabili.

 

 

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