Non è vero che siano i Millennials ad uccidere il mercato del vino, e la generazione Z non ha niente a che fare con il (supposto) declino dell’industria del vino. Probabilmente invece la colpa è proprio degli attori della filiera, dei cosiddetti stakeholders che rifiutano di parlare con loro e capire cosa succede. 

Il mondo del vino è sempre stato piuttosto conservativo, e questo vale in tutto il mondo: probabilmente gli USA sono i più conservatori di tutti, dal punto di vista del mercato e della gestione della filiera. Ed evitare di cambiare, di adattarsi provoca sempre un lento declino: la colpa non è fuori, ma dentro il sistema.

Eppure oggi sarebbe semplice sapere chi siano i consumatori, cosa fanno, quanto spendono; social e raccolta dei dati, una volta analizzati come si deve, offrono le risposte a queste e ad altre domande. Invece si preferisce dare la colpa al mercato concorrente del gin o della birra.

Il mondo del vino è snob

Si, il mondo del vino è piuttosto altezzoso, e a volte guarda con disprezzo i vini in lattina come tempo fa guardava sprezzante il vino in cartone; marketing innovativo viene tacciato di essere quasi blasfemo e di corrompere la storia e la tradizione del vino. Anche negli Stati Uniti, dove tradizione fondamentalmente non ne hanno.

Se guardiamo da puristi, mi ci metto dentro anche io naturalmente, ci sono comportamenti dei consumatori che ci fanno rabbrividire: c’è chi tiene il calice in modo sbagliato, chi mette il ghiaccio nel vino oppure la frutta (lo faceva mio nonno, con la pesca, e a volte lo faccio anche io. Buonissime, le pesche così).

Bene, ma se i consumatori vogliono bere il vino in questo modo, perché dobbiamo impedirlo, se poi alla fine comprano quel vino, vanno nei wine bar, ordinano bottiglie al ristorante? I soldi che spendono non valgono di meno, se aggiungono il ghiaccio ad un vino rosso.

Al contrario, l’atteggiamento a volte saputello che abbiamo come wine lovers istruiti, tenderà ad allontanare i consumatori di vini di qualità, e preferiranno acquistarlo nei supermercati a 8€ o bere improbabili prosecchi in qualche serata aperitivo. Se vogliamo che anche i Millennials si avvicinino al vino di qualità, forse dovremmo attrarli, invogliarli, parlare con il loro linguaggio. Provate a leggere questo post su 5Forest, spiega bene la situazione. Solo dopo l’industria del vino potrà insegnare loro qualcosa, a capire le differenze, ad imparare come si tiene il calice e perché va tenuto in quel modo e non in un altro.

Cambiare il marketing del vino

Sapere usare i social non significa affatto mettere qualche foto delle proprie bottiglie su Facebook o su Instagram. Significa invece inserire i post giusti e le foto adatte che possano colpire e attrarre i consumatori. I dati di utilizzo dei social possono essere studiati, e si può capire cosa vogliano i Millennials da un calice di vino. Innanzitutto, occorre identificare il proprio target, i propri clienti: conoscere cosa piace, quando e con chi bevono quel calice, in quali condizioni o in che modo lo bevono. L’industria del vino non può pretendere che sia il consumatore ad imparare il linguaggio dell’esperto di vino, ma deve fare il percorso contrario, imparare come pensano e di cosa parlano i nuovi consumatori. Probabilmente potrebbe imparare qualcosa da Gary Vaynerchuk, come potete leggere su questo post

Se i nostri clienti passano molto tempo sui social, dovrebbero farlo anche le aziende vinicole, i wine bar e in generale tutta l’industria del vino. Certo, significa fare investimenti in risorse umane, in specialisti, fare dei test di campagne social e analizzare i risultati. Si chiama investimento, e non ha un ritorno immediato.

Ma se l’industria del vino aspetta ancora un po’, nel lungo periodo saranno tutti morti.

 

Photo by Julián Gentilezza on Unsplash

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