monborg3La condizione sufficiente per una degustazione apprezzabile è che il didatta o relatore di turno abbia una certa confidenza con l’oggetto di discussione: i vini, il loro territorio di provenienza, gli addentellati storici e i dati tecnici essenziali.

In simili circostanze si potrà compensare il limitato coinvolgimento con la registrazione di informazioni comunque utili alla propria formazione.

Se questo è il primo grado, il secondo è invece quello posto dalla degustazione che definirei “suggestiva” oppure, nella sua variante più hard, “sensazionale”. Questa contiene in potenza tutte le condizioni sufficienti per il coinvolgimento e, insieme, comporta il massimo rischio di divagazioni egotistiche e devozionali.

Presuppone una guida (è in effetti la più guidata delle degustazioni possibili), un campionario di immagini e citazioni e un intento psicagogico: la guida si affida alle proprie sensazioni pure, le esterna in invenzioni più o meno poetiche e traduce direttamente in degustazione gli stati psicologici dai quali le sensazioni nascono. Scopo di questa modalità è l’avvincere più che il convincere.

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I bicchieri, il gatto e la volpe (foto e commento di Wine Roland)

È noto come vi siano due significati possibili e antinomici del verbo informare: ebbene, la guida tende a informare discepoli a un determinato indirizzo, cioè a divenire riferimento e modello ispiratore, più che a informare studiosi e curiosi portandoli a conoscenza di qualcosa. È un’esperienza letteralmente affascinante, ma anche la meno conviviale: più che un convivio, un convitto.
Vi è fortunatamente un terzo grado ed è il mio preferito. Non si limita alla mera divulgazione, né impone sinestesie e deragliamenti dei sensi (semmai li ispira, ma liberamente). Lo ritengo il più efficace perché, a differenza dei primi due e delle loro condizioni sufficienti, presuppone quella necessaria: la competenza.

Una lingua che compendi efficacemente una congerie di idiomi in un’identità è per definizione complessa, ma non per questo deve essere ricercata. È un compito per pochi provare a rendere attraverso poco tempo e poco vino due campi di variazione espressiva pressoché illimitati, riassunti per necessità in due denominazioni geografiche e regolamentari di grande valore simbolico: Montalcino e Borgogna.

Uno dei pochi all’altezza del compito era Giampaolo Gravina a Navelli (AQ) per la manifestazione Naturale 2013 (11-13 maggio). Ora: sarà senz’altro utile indicare i vini da lui scelti, ma le note di degustazione saranno omesse. Non aggiungerebbero alcunché al concetto che più mi preme rappresentare, cioè quello presupposto dal terzo grado, il mio preferito.

I vini.  

  1. Rosso di Montalcino 2009 Le Chiuse
  2. Brunello di Montalcino Vigna Vecchia 2008 Le Ragnaie
  3. Brunello di Montalcino 2007 Fattoi
  4. Bourgogne Hautes-Côtes de Beaune Orchis Mascula 2010 Domaine Henri Naudin-Ferrand
  5. Chambolle-Musigny 2010 Domaine Confuron-Cotetidot
  6. Pommard 1er Cru Les Argillières 2010 Domaine Lejeune

La competenza.
Guy Le Boterf, tra le massime istanze in materia di studio delle competenze, sostiene che queste non corrispondono semplicemente alle conoscenze e alle altre risorse dell’individuo, bensì alla capacità di mobilitare tali risorse in un determinato contesto dando luogo a una prestazione efficace. La competenza è quindi più che conoscenza (sapere interiorizzato), capacità (saper fare in potenza) e abilità (saper fare realizzato): è il saperle integrare in situazioni di volta in volta differenti ma sempre in modo pertinente. Ancora, è saper rielaborare concettualmente le esperienze e saperne trasmettere a interlocutori di volta in volta diversi il significato.
Che cosa c’è? Cos’ha a che fare con la degustazione? C’è che il didatta di turno, il nostro buon amico Giampaolo, era esperto e titolato, ma né esperienza, né titoli gli sarebbero valsi di per sé a rappresentare efficacemente Montalcino e Borgogna in quel contesto e con le poche risorse – il poco tempo, il poco vino – disponibili.

Lui, tuttavia, ha fornito una prestazione efficace: innanzitutto comprendendo il contesto, poco avvezzo ai due territori ma oltremodo partecipe, esigente e curioso; quindi calandovisi come uno tra gli altri, cioè accettando la condizione paritetica del confronto dialettico; di seguito, usando dapprima le sole conoscenze necessarie, senza enfasi o accanimenti nozionistici, e solamente dopo aggiungendo le giuste rifiniture, gli aneddoti, i ricordi.

Così l’esperto si è rivelato non ex-cathedra, bensì come personalità che risalta attraverso il confronto con l’alterità. In che modo? In molti modi. Tra questi la capacità di farsi comprendere da tutti denotando l’identità territoriale, quindi scomponendola in uno, due, tre gradi di articolazione, accennando alla loro varietà di caratteri distintivi per poi assoggettare questi ultimi alla volubile regola dell’eccezione e della riserva. Facendo tutto questo senza forzature o facili ricorsi a domini dell’ineffabile. Infine, rendendo tutto questo comprensibile in un doppio scambio a effetto: lo Chambolle-Musigny che sembra un Pommard, il Pommard che sembra uno Chambolle-Musigny…

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