IoT è una sigla che viene nominata spesso negli ultimi tempi, indica la Internet of Things, ossia la Internet delle Cose. Il termine, concordo con voi. è piuttosto bruttino, ma sta entrando nel comune lessico della tecnologia; indica la capacità di alcuni oggetti di inviare dati ed informazioni verso un contenitore, server o nuvola informatica che sia, in modo che sia possibile utilizzarli successivamente per ulteriori elaborazioni.

Gli oggetti possono essere di qualunque tipo, ad esempio un orologio, il sensore della temperatura di casa, il software dell’automobile. Questi dispositivi si collegano via wireless ad un server (o ad una nuvola, la famigerata Cloud), che raccoglie i dati e li utilizza per statistiche d’uso o per costruire campagne commerciali.

Considerate uno di quei braccialetti che vengono utilizzati quando si fa attività fisica, i cosiddetti Fitbit; i dati raccolti possono essere utilizzati da un centro di ricerche sulle malattie cardiovascolari o da una ditta che fabbrica scarpe per jogging.

Insomma, il web 2.0 sta entrando nella fase, se non di maturità, almeno dell’adolescenza, iniziando ad usare la mole di dati che vengono prodotti ogni giorno da ognuno di noi per scopi che spesso sono esclusivamente di business.

D’altra parte il mondo del vino, almeno per quel che riguarda le nuove tecnologie, sembra rimasto agli anni ’60, con il rappresentante che gira per enoteche e ristoranti con la borsa con qualche campione in assaggio, la partecipazione del produttore a fiere in giro per il mondo, a volte un sito web senza molta predisposizione alla User eXperience, l’uso dei social network limitato a qualche sporadico post sul proprio profilo personale di Facebook ed un paio di foto su Instagram.

Internet of Things

Eppure, la tecnologia potrebbe aiutare anche, o meglio soprattutto, il piccolo produttore che da solo non riesce a seguire i tanti aspetti legati alla vendita del vino.

Nel disegno qui sopra, dove è il vino? O forse pensate che una bottiglia non abbia nulla da dire, al contrario di quanto tutti gli appassionati enoici si affannano (ci affanniamo) a dire?

I servizi da fornire al cliente devono in qualche modo aumentare, e sarà anche brutto dirlo ma non basta più produrre ottimi vini; bisogna saperli promuovere, bisogna offrire servizi di tracciatura, bisogna avere un servizio di customer care, ossia di assistenza e informazione.

Con l’avvento della tecnologia dei bot, software automatici che compiono alcune azioni sollecitate dall’utente, anche l’email o il commento al post potrebbero non avere la giusta e necessaria velocità per soddisfare la domanda di un cliente che chiede, ad esempio, quale dei vini abbinare a un determinato piatto in una cena importante.

A tutto questo si aggiunga la brutta e inveterata abitudine di ognuno di noi a pensare al proprio piccolo orticello anziché ragionare in termini di condivisione; in un’epoca in cui si condivide la casa o l’automobile con altre persone trovate sul web, risulta difficile capire perché le tanto decantate sinergie tra cantine, alberghi, musei, borghi antichi, università, risultino confinate alla creazione di una semplice, inutile e superata strada del vino.

Il mondo vinicolo è tra quelli che dovrebbero, per storia e tradizione, essere più aperti alle innovazioni, sia in vigna che in cantina, ed ho sempre pensato che il vignaiolo abbia tutte le potenzialità per essere un traino del proprio territorio, per indirizzare turismo di nicchia e non di massa, sfruttando le enormi potenzialità che oggi offre la Rete ed i mezzi per connettere dispositivi e persone.

Spero ancora di non sbagliarmi.

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