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Nell’enoturismo il vino è complementare

enoturismo

Leggo un post interessante a firma di Fabio Piccoli su Wine Meridian a proposito dell’enoturismo e come appendice al webinar del mese scorso su questo argomento, dove è intervenuta anche Donatella Cinelli Colombini.

Vino, centrale o laterale?

Il succo del post è che il vino, nelle visite in cantina, sembra diventato un prodotto laterale anziché centrale, perché come ha confermato anche Donatella durante il webinar, i turisti sembrano poco interessati al vino. Cosa vogliono allora? Nuove esperienze, in poche parole. Il post di Fabio prende come esempio le cantine del Sudafrica, ma la stessa cosa potremmo dire per quelle della California. Territorio, storia, ambiente, ora si è aggiunta anche la sostenibilità ambientale.

Quindi, il vino come prodotto culturale. Peccato però che i turisti, i visitatori, ma anche i normali consumatori del vino, cerchino qualche altra cosa nella bottiglia, dietro l’etichetta, in mezzo ai filari. Due anni fa scrivevo questo post, simile e non certo migliore di tanti che ne sono stati scritti in giro. Le cose sono per fortuna migliorate, e le vendite stanno tornando ai livelli precedenti anche se i canali digitali hanno preso a correre molto più rispetto a prima. Il Direct To Consumer sembra sottovalutato ancora qui in Italia, ma è uno dei nuovi trend. Lattine colorate, celebrity wines, eventi dove il vino è presentato in secondo piano.

Forse il problema è questo, come fa capire Fabio, ossia la troppa centralità del vino che si traduce in una esperienza di enoturismo poco interessante per il turista. Far tornare i visitatori in cantina potrebbe quindi essere difficile senza snaturare il prodotto, il vino stesso.

Se continuiamo a parlare di vino come prodotto culturale allora occorre chiedersi cosa voglia dire tutto questo, al di là della bella locuzione. Come ho già avuto modo di dire e scrivere più volte quello che manca al mondo del vino è la lateralità, la sinergia con le altre realtà del territorio, qualunque esse siano come librerie, musei, wine bar per happy hour, piazze per flash mob. Le contaminazioni, è necessario contaminare il vino.

Non snaturarlo, ma contaminarlo; non dobbiamo fare quello che fa il Sudafrica o la California, dobbiamo trovare la nostra via italiana per il vino, approfittando di tutta la storia che ci sta dietro.

Enoturismo, meno vino e più turismo

Sessioni di reading a tema vino, concerti, visite con un geologo sul territorio, probabilmente chi si occupa di marketing può inventare cose molto migliori di queste, senza dubbio.

Però non è possibile continuare a lamentarsi di vini in lattina o No-Lo Alchool pretendendo che il consumatore acquisti il vino italiano solo perché siamo storicamente più bravi. Anche aumentare la possibilità e la facilità di prenotare una visita è uno degli strumenti necessari, anche migliorare la comunicazione. Vedo tristi post su Facebook e coloratissime immagini su Instagram, ma pensare che questo sia un vero aiuto forse non è abbastanza.

La sostenibilità è un valore indubbiamente, ma forse far vedere due pannelli fotovoltaici è un po’ poco. Insomma, occorre trovare una narrazione diversa e più coinvolgente, e questo si può fare iniziando a conoscere meglio consumatori e visitatori. L’enoturismo è uno strumento fantastico, ma occorre imparare ad usarlo. Continuo a vedere i siti web delle strade del vino, dove quasi non si parla dei vini, sono più siti di un’agenzia turistica. Quando vado in vacanza non è facile trovare quali aziende vinicole ci sono nei dintorni, perché spesso non hanno una pagina su Google Maps. E quando si trova, spesso è difficile prenotare una visita, telefonare, sapere i prezzi e gli orari.

Partire dalle basi, ripartire dai fondamentali del turismo del vino per farlo diventare enoturismo.

Photo by Jacek Dylag on Unsplash

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