EnologoPoco più di una settimana fa, in risposta ad un post  su Facebook con oggetto i vini naturali, ho usato l’espressione di ‘spacciatori di polverine’, riferendomi a quegli enologi che, anziché consigliare il vignaiolo per fare al meglio il proprio vino, scelgono la strada facile degli additivi chimici per risolvere difetti o errori di vinificazione.

Subito dopo c’è stato un certo numero di commenti in risposta, abbastanza piccati da parte di alcuni enologi che solitamente seguo abbastanza con piacere.

Il giorno appresso un post riprendeva quella mia frase, facendo intendere che, a mio avviso, tutti coloro che si occupano di enologia sono venditori di polverine.

Il post era garbato, così come lo è la persona che lo ha messo, e fondamentalmente anche le risposte lo sono state: normale dialettica tra persone che si sentono colpite nella propria professionalità.

Non veniva fatto il mio nome, in questo post, ma ovviamente ho preso la tastiera e mi sono scusato per la frase.

La cosa è finita lì, e come ripeto nessuno ha mai usato parole fuori dalle righe, anzi, piuttosto è stata usata l’arma della presa in giro bonaria. Nessuno, spero, si è fatto male; Francesco Guccione ha spezzato una lancia a mio favore, ma lui è un vignaiolo naturale, categoria che per Alcuni Enologi non esiste.

Ora che la cosa è ampiamente terminata e dimenticata, vorrei tornare sull’argomento.

Primo punto, la comunicazione: può accadere, anche a chi è accorto e cerca di pesare le parole, che le dita corrano più veloci del cervello, sulla tastiera, ed una frase che non voleva essere offensiva improvvisamente lo diventi. 

Ovviamente è necessario che qualcuno dia fuoco alle polveri, commentando sprezzantemente ad esempio, e sicuramente qualcuno che lo segue ci sarà. Il rischio è quello di creare quel che un tempo, agli albori di Internet, era chiamata ‘flame war’, una guerra di religione che si autoalimenta prendendo ogni parola come un insulto e rispondendo alzando il tono. (Questo non ha quasi nulla a che vedere con il mio caso, sia beninteso).

C’è chi ne fa una professione, i cosiddetti troll, ma lì la soluzione è semplice,  “Don’t feed the troll”, non dar da mangiare al troll e lasciar cadere l’argomento.

Poiché non mi considero certo un troll, ma col timore che qualcuno volesse innescare la rissa, ho chiesto scusa, un paio di battute e la cosa è terminata lì, una cosa senza troppa importanza.

Secondo punto, l’argomento della frase.

E’ vero, e molti dei vignaioli che operano in modo naturale potranno confermarlo, che Logicaesistono Alcuni Enologi che arrivano, o fanno arrivare lo stagista di turno, in vigna con la ricetta delle polverine (o pasticche, o liquidi) così che la cantina che loro seguono abbia, anche quell’anno, il giusto vino per il mercato. 

Vendere il vino non è mica peccato, ci mancherebbe; salvare una annata sfortunata migliorando l’acidità o la morbidezza di un vino, anche se con l’aiuto della farmaceutica, a volte è l’unica alternativa ad una disastrosa bancarotta. 

Io però mi riferivo soprattutto a quegli enologi che, una volta analizzato il vino, aggiungono, sottraggono, amplificano o modificano le caratteristiche di quel vino, per renderlo più vicino a quel che vuole il mercato in quell’anno.

Non sto parlando dell’uso o meno della solforosa, argomento che sembra diventato, un po’ artatamente, lo spartiacque tra vini naturali e produzioni di massa, né dell’utilizzo di lieviti indigeni piuttosto che di quelli selezionati.

Sto proprio parlando di vere e proprie modificazioni della natura del vino e della correzione non di errori o di annate particolarmente sfortunate, ma di noncuranza della sanità delle proprie uve, di metodi di potatura e di gestione della vigna non corretti.

Sto parlando di vigneti piantati ad altezze sbagliate, troppo in cima o troppo a valle, con rese sempre più alte. 

Sono gli stessi produttori da centinaia di migliaia di bottiglie che, prima o poi, si mangeranno i più piccoli e le loro piccole denominazioni.

La comodità di avere uno stregone in enologia che segue il produttore è anche questa, la soluzione di qualunque errore o pratica errata utilizzando aggiunte di prodotti, perfettamente legali e previsti dalle normative, che risolvono qualunque problema che, quindi, non viene più visto come tale ma come pratica agronomica ed enologica perfettamente corretta. Che molti purtroppo inizieranno a seguire.

Terzo punto, l’opinione. La mia è una opinione, non una condanna, ognuno continui a fare quel che vuole.

Così come io continuerò a bere vini fatti da vignaioli, ed enologi, ed agronomi, che rispettino la loro materia prima.

Ripeto, ancora una volta, Non-Tutti gli enologi si comportano così, ossia Qualcuno Esiste. 

Qualcuno non è Tutti.

Chi ha studiato un poco di Logica, capirà perché ho messo le maiuscole. 

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