Ad essere pignoli, M. Chabut non era un produttore di vini ma un mercante, un distributore. Il titolo originale è ‘Maigret et le marchand de vin’, ed Oscar Chabut non produceva vino ma lo vendeva solamente.

Da piccolo venditore porta a porta, come fino a qualche tempo fa ce n’erano anche qui da noi, divenne un merchant, un rivenditore di vini di Macon che trasportava lungo la Senna con delle lunghe chiatte su cui era scritto in grande “Vin des Moines”, Vino dei monaci.

Non lo vediamo vivo nemmeno in una pagina,  ma ne scopriamo i movimenti durante il racconto, prima della sua morte raccontata dalla maitresse di una casa di appuntamenti, nelle parole della moglie e delle sue amanti.

venditore di vini
Il commissario Maigret e signora (Gino Cervi e Andreina Pagnani)

Saranno proprio le persone che ruotavano attorno alla vita di M. Chabut e del suo commercio di vini, ad essere indispensabili per capire l’intreccio creato dalla sua meschinità nei rapporti con le donne e la cattiveria nei confronti di tutti gli altri.

E’ singolare che tra di esse spicchi la Cavalletta, ossia M.le Anne Marie Boutin, la sua segretaria personale; sia la moglie, che le amiche della moglie  e le altre ragazze che lavoravano come impiegate nell’azienda di Chabut, sembra di capire che fossero tutte più belle di lei. Ma è con lei che si trovava quando qualcuno lo ha ucciso, e così la ragazza assume un ruolo importante nella storia.

E poi la capacità di Simenon di usare i nomi, lo immagino che sorride mentre crea M. Lepretre, il capocantiniere.

Un prete a guardia del vino dei monaci.

O Pierre Merlot, l’agente di cambio.

E’, come dicevo,  un libro che ricorda più lo stile dei romanzi di Simenon come L’uomo di Londra, o La neve era sporca che non gli altri innumerevoli dove vengono narrate le avventure del commissario.

Leggendo le avventure di Maigret non può non tornare alla mente l’interpretazione di Gino Cervi, primo ed inarrivabile interprete del commissario, tanto da far dire allo stesso Simenon che Cervi è ‘il mio Maigret’.

E per non dimenticare la bellissima sigla finale cantata da Luigi Tenco, Un giorno dopo l’altro, che contribuiva a rendere l’atmosfera parigina di vicoli e piccole piazze, di cieli grigi e stanze fumose.

Ho in mente un paio di fotogrammi, di chissà quale episodio, entrambi naturalmente in bianco e nero, ed i toni pacati degli sceneggiati dell’epoca (stiamo parlando del 1964 poco più) sono estremamente adatti alla televisione di allora. Nessun inutile trucco cinematografico, ma una rappresentazione teatrale trasmessa in televisione, tutto qui.

Nel primo Maigret è al suo tavolo da pranzo, con la moglie, interpretata da Andreina Pagnani, che gli versa il caffè mentre lui sorride sotto i baffi e si accende l’immancabile pipa.

Il secondo ricordo è Maigret che, entrato in un bar per parlare con un cameriere, si fa portare un Calvados al banco, facendo scendere bene le falde del cappotto dietro di se e lamentandosi di quegli sgabelli alti e moderni.

Consiglio di leggere molto, di Simenon, e questo ‘Maigret ed il produttore di vino’ fa parte della mia collezione ormai da molto tempo.

Volevo bere, leggendo il libro, un vino del Maconnaise, ma poi ho deciso per un Gamay, visto che il commissario non ha assaggiato il vino del produttore ammazzato, anche se si informa della sua qualità.

Così ho scelto un vino più semplice, non un Borgogna nè un Beaujolais, ma il Gamay Morgon 2009 Lapierre, vino di ottima acidità, nessun lievito aggiunto, lunga macerazione sulle fecce.

Non ho usato nemmeno un calice, non stavo facendo una degustazione ma mi stavo semplicemente gustando un bicchiere di buon vino, così pensando al commissario ho usato un classico bicchiere da cucina, di quelli tronco-conici, leggermente sfaccettato.

Un vino che si può bere a lungo senza che ci si stanchi, dissetante ed allegro al palato.

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