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Il Mitra-Vino, da una foto di @ElenaRoppa

Primo post dell’anno scaturito da una chiacchierata su #twitter iniziata da @ElenaRoppa e @diwinetaste; la potete ritrovare grazie all’hashtag #mitravino.

Tutto nasce da @ElenaRoppa che twitta una foto di una bottiglia di vino a forma di mitra, rattristandosi perché ci sarà gente che la comprerà, a 15€ oltretutto.

Da qui, la definizione di mitra-vino, un liquido che con il vino ha ben poco a che fare, come dice @diwinetaste, ma che comunque sta lì a dimostrazione che sempre più spesso il vino è diventato solo un liquido con cui riempire una bottiglia, metterci un’etichetta e venderlo possibilmente al prezzo migliore.

Dove è andata la poesia, la storia, la cultura che sta dietro al vino?

I partecipanti, me compreso,  tutti concordi a dire che boh, non si sa, che sono pochi quelli che resistono, che però fanno volumi e fatturato risibili rispetto al mercato totale, anche se riescono a produrre vini di qualità notevolmente migliore.

Cosa abbia fatto il mercato, e stia continuando a fare, a vini come il Prosecco, il Chianti, il Primitivo, chi si occupa di vino lo vede benissimo: aumento indiscriminato della produzione, diminuzione della qualità, massimizzazione dei profitti e delle esportazioni.

I contadini che hanno queste uve le vendono volentieri, molto volentieri, ad imbottigliatori che hanno la possibilità di portare il proprio prodotto negli USA e nell’Europa dell’Est. Cosa c’è di male?

Nulla, proprio nulla. Purtroppo però chi produce vini di qualità in queste zone, si trova spesso ad avere prezzi fuori mercato, impossibilitato a poter competere con questi livelli di prezzi. 

E questo accade perché la normativa delle denominazioni oggi consente quasi a chiunque abbia vigne in un certo territorio, di fregiare le proprie bottiglie con una delle fascette DOC o DOCG ed anzi obbliga chi continua a fare un vino tradizionale, ad uscire dalla denominazione per poter continuare a non usare migliorativi di qualche tipo.

Un esempio è l’azienda de I Botri, che non produce più Morellino di Scansano DOCG perché, da disciplinare, colore e profumo non sono quelli ‘giusti’ per quel vino. Ricordo che è possibile usare anche il Syrah, oggi, per fare Morellino di Scansano….

Dunque torniamo alla famosa legislazione, le normative di riordino delle denominazioni sono ferme da anni, e fondamentalmente sono in pochi quelli che vorrebbero riformare il sistema piramidale di qualità del vino italiano.

Il vignaiolo naturale, ad esempio, è necessariamente costretto a vendere il proprio vino a prezzi notevolmente più alti di quelli dei propri colleghi di denominazione, e conseguentemente rischia di trovarsi con la cantina piena e la cassa vuota.

Qui però sta il vulnus della questione. Chi vende le proprie uve a 0,40€ e chi fa vino che alla bottiglia costa in uscita di cantina 7€, non possono essere considerati colleghi. La normativa dovrebbe essere costruita su un sistema diverso, basato sulla qualità del vino e non solo sull’appartenenza a determinati confini.

Oppure bisogna agire sulla manopola della comunicazione.

Che sia Chianti o Prosecco, Franciacorta o Primitivo, Nero d’Avola o Pecorino, è necessario far capire al consumatore finale, quello che il vino lo compra nella GDO o lo beve al solito ristorante della domenica, far capire dicevo che esistono vini diversi e che, quindi, anche i prezzi sono diversi. 

Insegnare ad apprezzare vini fatti con cura, magari senza troppi aiuti di cantina, insegnare a bere di meno, ma meglio, potrebbe forse diminuire i fatturati di qualche grossa industria vinicola, ma certamente aumenterebbe, nel tempo, la qualità generale, costringendo anche il produttore che vende le proprie uve al Consorzio o all’imbottigliatore, a lavorare meglio e con meno utilizzo dell’enologo famoso.

Il consumatore medio, stando a @wineup su Millevigne non esiste, ma esistono varie tipologie di eno-cliente; la maggior parte di queste non capisce la differenza tra un vino del 2007 ed uno del 2004, ed anzi si spaventerebbe a sentire differenze: questi consumatori desiderano che quel vino sia sempre uguale, vogliono essere rassicurati, tranquilli di bere sempre la stessa bevanda, come fosse un’aranciata. 

Dietro al vino c’è un mondo di cultura, di storia, di persone, che molto spesso l’industria dimentica, o tira fuori solo per darsi un tono di naturalità che, nel chiuso dei laboratori chimici, è ben lontana di esistere.

Così, potremmo risolvere anche la vexata quaestio sul nome da dare ai Vini Naturali.

La mia proposta è di invertire il problema. Invece di chiamare quelli Vini Naturali, bisognerebbe chiamare gli altri Vini Industriali

E’ chi usa fare vini come se fossero scarpe da ginnastica o automobili che deve differenziarsi dagli altri, non viceversa; se vengono prodotte milioni di bottiglie, non puoi presentarti come un vignaiolo che gira per le vigne, ma come industriale, e per carità niente di male in questo. 

Così non dovranno più essere i produttori di Vini Naturali a doversi difendere da stantie obiezioni, mentre i produttori di Vini Industriali saranno identificati per quello che realmente sono, ossia degli imprenditori, che fanno un prodotto di mercato secondo determinate standardizzazioni, sempre uguale, senza rischi, senza preoccupazioni di muffe, malattie e talvolta nemmeno grandinate. 

Un prodotto di plastica.

4 pensiero su “Il mitra-vino”
    1. Nessun dubbio su questo, Luca. Ma, come rispondevo su FB, mi piacerebbe che il compratore quotidiano fosse informato delle differenze. E so anche bene che questo si fa non semplicemente usando una definizione, ma imparando a scegliere. Però, ripeto, mi piacerebbe. Grazie del tuo passaggio qui.

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