PandoraUno dei più grossi errori dei produttori di Vino Naturale è stato definirsi produttori di vino naturale.
Inizialmente questa definizione ha dato i suoi frutti, così da dividere il Mar Rosso dei vignaioli tra quelli industriali e quelli più contadini.
Bisogna pure dire che in Francia tutte le polemiche sul nome non mi sembra ci siano state; si parla di vin naturel, c’è un’ottima associazione, Reinassance, che porta avanti le istanze e le sperimentazioni di chi vuole produrre vino senza aggiungervi nient’altro che uva. Ma si sa, i francesi sono francesi, vivono tutti assieme nell’hexagon; noi siamo il popolo dei Comuni, e purtroppo l’unica cosa rimasta del Rinascimento è la divisione.
Il problema nasce indubbiamente dal fatto che non esiste una definizione univoca di Vino Naturale: varie associazioni condividono la stessa filosofia, ma sono più o meno rigide nell’uso di lieviti, di solforosa, del controllo di temperatura.
La biodinamica non ha una certificazione ufficiale, ma solo una interna redatta da Demeter; alcune pratiche possono apparire esoteriche, ma alcuni vini biodinamici sono spettacolari.
Nei vini biologici sono ammesse praticamente tutte le tecniche di modificazione del vino, a partire dalla coltivazione dell’uva in vigna, semplicemente sostituendo determinati componenti chimici con altri di provenienza biologica. Dunque non rientrano a pieno titolo nello spirito dei vini naturali, o almeno in quello che i produttori di Vino Naturale dicono sia lo spirito del Vino Naturale. Che il vino biologico sia una presa in giro mi sembra palese.
Insomma, di polemiche tra produttori e tra associazioni ne abbiamo lette ed ascoltate a bizzeffe.
Non sapendo come fare a dare una misura della naturalità di un vino, forse sperando di essere più diretti verso l’acquirente di massa, l’attenzione di molti si è spostata essenzialmente su due componenti: i lieviti naturali e l’uso di solforosa.
Il primo argomento è diventato ormai quasi secondario, con la solita italica divisione tra chi strilla che con i lieviti naturali non si possono ottenere buoni vini e chi invece fa spallucce e continua a produrre il proprio vino usando solo quel che è presente sulla buccia della propria uva e sulle pareti della propria cantina.
E’ anche un argomento non semplice da spiegare alla massa delle persone che compra il vino, visto che in etichetta non deve esserci scritto Prodotto con Lieviti Selezionati, quindi pochissimi acquirenti si pongono il problema.
Così arriviamo all’argomento del contendere, la solforosa, o meglio l’anidride solforosa.
Si, ok, la SO2 viene prodotta naturalmente durante il processo di fermentazione, quindi stiamo parlando di anidride solforosa aggiunta.
Ho chiamato qualche produttore con cui sono più in confidenza, come Stefano Papetti per De Fermo, Alberto Carretti per Podere Pradarolo, Lorenza Ludovico di Suffonte, ed ho interpellato due enologhe, Claudia Donegaglia e Claudia Galterio.
Anche durante Critical Wine a Roma ho chiesto ad un paio di produttori, tra cui Guido Zampaglione delle Tenuta Grillo, come la pensassero a proposito della solforosa .
La risposta dei produttori è stata unanime: la solforosa è un falso problema ed anzi, aggiunge Stefano, è un argomento sbagliato da tirare in gioco e dannoso nella comunicazione.
Sposo in pieno.
Incentrando il dibattito sulla solforosa infatti, si è data la possibilità di costruire, solo commercialmente, la dicotomia tra vini industriali e vini differenti che è sempre mancata, uno spartiacque artificioso esclusivamente in funzione dell’uso o meno della solforosa.
L’attenzione si sposta così su questo componente, che nell’immaginario collettivo diventa un confine tra vini sani e vini industriali, tacendo delle tante sostanze chimiche (lecite e consentite dalla legge) aggiunte al vino in cantina per aggiustarne l’acidità, il tannino, la morbidezza, i profumi. Per non parlare di quel che bisogna aggiungere (ad esempio acido ascorbico) per avere gli stessi effetti del bisolfito di potassio.
Alcuni imprenditori ed enologi intraprendenti (ad esempio Farinetti coi vini liberi o Cotarella con il suo consorzio di vini senza solfiti) si sono immediatamente inseriti in questa cesura, usurpando, grazie alla loro potenza commerciale,  il merito dei tanti produttori, naturali, biologici o biodinamici, che in questi anni hanno sperimentato con le sole loro forze un modo diverso di fare il vino.  Di tutti quei produttori che lavorano bene in vigna, portando in cantina uve sane anche a costo di diminuire drasticamente le rese, come a molti accadrà quest’anno 2013, nonostante l’inutile e sbandierato  sorpasso sui francesi.
Sarà complicato adesso far capire che un vino libero dalla solforosa (sotto i 10 mg/l è consentito non scrivere ‘Contiene Solfiti’ in etichetta) non è necessariamente più sano di un altro che invece ne ha, poniamo, 50 mg/l ma non vi è stata aggiunta gomma arabica o tannino liquido.
Sarà complicato far capire che se sono stati usati concimi chimici in vigna, pesticidi, diserbanti, quei componenti vanno a finire nell’uva e, quindi, nel vino, e dunque la solforosa è l’ultimo dei problemi, per quel che riguarda la dannosità sulla salute.
C’è stato un errore grave nella comunicazione, peggiorato dalla litigiosità italica delle fazioni di fronte ad un obiettivo che dovrebbe essere comune, semplificando troppo la definizione di naturalità che, infatti, inizia a diventare stretta anche a quei produttori che hanno sempre sposato l’idea del Vino Naturale.
Ed in questa semplificazione trovano terreno fertile abili imprenditori, capaci di sfruttare l’occasione e dare una verniciata ‘green’ ai propri vini, fregandosene della territorialtià e della salvaguardia di vitigni autoctoni.

Ora far rientrare i venti nel vaso di Pandora sarà molto più difficile.

6 pensiero su “I solfiti nel vaso di Pandora”
  1. Rolando sono molto d’accordo e spieghi molto bene come sia avvenuta l'”usurpazione” dei meriti degli artigiani del vino. In realtà anche in Francia è attivo il dibattito esattamente con gli stessi temi nostri.
    Non sono troppo d’accordo sul fatto che la solforosa aggiunta sia un falso problema. In Francia il movimento dei naturali nella sua forma più pura esclude anche quest’ultimo baluardo interventista. E uso questo termine un po’ medievale per dire che effettivamente all’interno dell’universo interpretativo dei vini naturali, la solforosa è l’additivo intorno al quale si gioca il tema della possibilità di fare vini solo con l’uva.
    Da qui secondo me nasce l’ambiguità.
    Nell’universo interpretativo del vino industriale la solforosa è invece l’avamposto per la conquista commerciale del naturale.
    L’importante è continuare a rappresentare il vino naturale per quello che è, in termini di salute dei terreni, conservazione della tradizione etc e cercare di spiegarne la differenza con biologico, libero, ragionato e tutte le paroline che l’industria usa per la sua azione usurpatrice.

    1. Avrei dovuto spiegare, o quanto meno esplicitare, che la solforosa viene usata soprattutto da chi ha avuto problemi in vigna e quindi ha necessità di sanificare le proprie uve. O da chi se ne è fregato della sanità della materia prima. Però accade anche che qualche bravo produttore sia costretto, in una annata, a dover decidere se abbassare drasticamente le rese, facendo la cernita grappolo per grappolo, o usare il bisolfito. Molto, credo, dipende dalla sua capacità di poter pagare le bollette a fine mese; per qualche produttore un quintale in più o in meno di uva può fare la differenza se poter pagare o meno la rata del trattore.
      A mio avviso il compito soprattutto di chi fa comunicazione (mi ci metto dentro pure io) è tentare di spiegare al ragioniere di Verbania come alla casalingha di Voghera, come viene fatto il vino che comprano al supermercato. Ed anche il formaggio, il prosciutto, la pasta, se è per questo. Ed essere troppo tranchant non rende chiare le cose all’acquirente quotidiano. Troppi anni di Mulini Bianchi ci hanno rovinato.
      Grazie del tuo contributo, Niccolò

  2. Piccolo contributo:
    Il disciplinare di AVN (associations des vins naturels – Francia)
    La pratique culturale respecte obligatoirement la démarche de l’agriculteur biologique ou bio-dynamique.

    Les vendanges sont manuelles.

    Seules les levures indigènes dirigent la vinification.

    Il n’y a pas de modification volontaire de la constitution originelle du raisin et donc pas de recours à des techniques physiques brutales et traumatisantes (osmose inverse, filtration tangentielle, flash pasteurisation, thermovinification, etc.…).

    Aucun intrant n’est ajouté, le soufre demeurant l’exception. Un vin AVN contiendra donc pas ou peu de sulfites ajoutés, à raison de (dose de soufre total après mise en bouteilles) :

    – pour les rouges et effervescents : 0 (ou traces naturelles) à 30 mg/l maximum (150 mg/l autorisés en UE),

    – pour les blancs : 0 (ou traces naturelles) à 40 mg/l maximum (200 à 400 mg/l autorisés en UE),

    et ce, quelle que soit la teneur en sucres résiduels.

    e il link a quella Vins S.A.I.N.S http://vins-sains.org/category/La-charte/Italioano

  3. Troppi anni di mulini bianchi ci hanno rovinato, concordo 🙂
    Credo che la definizione di vino naturale rimanga fumosa solo se non si precisano alcuni aspetti. Secondo me (spero anche secondo altri) il vino naturale è un vino da uve biologiche senza aggiunta di coadiuvanti e additivi in cantina.
    Additivi e coadiuvanti non come definizione generica, ma quella quarantina previsti dalla legge: regolamento CE n. 606/2009 (trattamenti enologici consentiti).
    Sulla solforosa sono in parte daccordo, entro certi limiti è un falso problema: se un produttore naturale fa un vino con 30-40 mg/l di solforosa totale non me ne può frega de meno. Certo non è la solforosa lo spartiacque tra naturale e industriale.

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