Se il Giudizio di Paride cambiò la storia, dando origine alla guerra di Troia, il Judgement of Paris del 24 maggio 1976 fu altrettanto importante per il mondo del vino. Non ci furono guerre, ma sicuramente volarono metaforici proiettili che qualche altrettanto metaforica vittima la fecero. In occasione dell’anniversario della morte, avvenuta il 9 marzo del 2021, pubblico questo post.
Steven Spurrier e il vino
Quel concorso enologico avrebbe spostato l’asse dell’interesse mondiale del vino dalla Francia agli Stati Uniti e in pochi anni se ne videro tutte le conseguenze. Come titolava nel 2016 un post di W. Blake Gray, questo post è ‘la storia dietro la storia che fece la storia del vino’. L’evento era la Paris Wine Tasting, poi conosciuta come il Judgement of Paris, e l’ideatore di quella degustazione era Steven Spurrier, morto nel 2021 a 79 anni. Potete leggere una sua intervista sul Time in questo articolo del 2016.
Spurrier aveva conosciuto il vino negli anni 50, e negli anni 60 si spostò a Parigi: per l’epoca era una cosa piuttosto rara, un degustatore inglese nelle sale di degustazione francesi. Quasi scandaloso fu quando creò a Parigi la sua Académie du Vin. Un inglese che apriva una scuola per insegnare ai francesi come si assaggia un vino, ed un wine shop era una cosa mai vista prima.
Un inglese a Parigi
Il fatto di essere l’unica enoteca di Parigi dove si parlasse inglese fu notato dai produttori di vino della California, che producevano buoni vini ma completamente fuori dal giro grosso del mercato, che si svolgeva quasi tutto in Francia. Per questo quando Spurrier organizzò le due serate del Judgement of Paris si aspettava come miglior risultato un terzo posto, e raccontava che gli sarebbe andato bene anche un quinto.
Nei concorsi enologici i vini francesi di Bordeaux, Borgogna, Loira, occupavano sempre i primi posti di tutte le classifiche, e naturalmente dominavano il mercato. La degustazione di Parigi organizzata da Spurrier insieme alla sua collega Patricia Gallagher, era solo un evento pubblicitario per i vini di cui era rappresentante. Un normale evento di marketing, organizzato approfittando del bicentenario della rivoluzione americana nel 1776. Spurrier sperava di portare qualche ristoratore francese ad aggiungere alla carta dei vini anche qualche etichetta della Napa Valley, vini che allora non era semplice trovare.
Patricia Gallagher iniziò a lavorare sulla lista dei vini fin dal 1975, mentre Spurrier organizzava l’evento, invitava i giudici francesi e gli ospiti della degustazione. Qualche settimana prima dell’evento, decise di trasformare l’evento in una degustazione comparativa alla cieca con i migliori vini di Borgogna e Bordeaux.
Il giorno del giudizio, il Judgement of Paris
La gara fu divisa in due serata, una dedicata ai bianchi e la seconda ai rossi, con dieci vini da giudicare per ogni tornata. Nella lista dei bianchi erano presenti 6 Chardonnay della California e 4 della Borgogna, mentre nella serata dei rossi ci sarebbero stati 6 Cabernet Sauvignon di Napa e 4 vini di Bordeaux nel tipico assemblaggio di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot. Le etichette francesi erano spaventosamente famose, Chateau Mouton Rotschild, Chateau Haut Brion, apprezzato da Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti. E poi Puligny Montrachet, Clos de Mouches, e quindi etichette davvero spettacolari, soprattutto in confronto alle sconosciute Chateau Montellera, Chalone Vineyard, Stag’s Leap Wine Cellar.
Le annate erano abbastanza recenti, il Cab 1969 di Freemark Abbey Vineyard e lo Chateau Haut Brion 1970 erano i più vecchi. Degli 11 giudici, 9 erano francesi, gli altri due erano gli organizzatori Patricia Gallagher e Steven Spurrier ma i loro due voti non avrebbero contribuito alla classifica finale. Anche tra i giudici, come tra i vini, c’erano nomi importanti, come Auber de Villain, proprietario del DRC, e Jean Claude Vrimat, proprietario del ristorante Tajevant.
Un giudizio severo ma onesto
La votazione avveniva su una scala di 20 punti, comprensiva dei punteggi su colore, bouquet, aromi, morbidezza, tannini, acidità, lunghezza. Non erano presenti giornalisti, che avevano snobbato l’evento come poco importante. C’era solo George Taber, mandato dal Time, e non c’era nemmeno un fotografo ufficiale. Le uniche foto furono scattate da Spurrier e dalla moglie Annabelle. Taber iniziò ad osservare i giudici mentre assaggiavano i vini, annotando i numeri delle bottiglie e segnando i commenti che facevano, e gli sembrò da subito che fossero un po’ confusi.
Alla fine della prima serata, dedicata ai bianchi, Spurrier annunciò il punteggio finale: i vini migliori erano risultati gli americani, e non i francesi. Primo della lista fu lo Chardonnay Chateau Montellera 1973 di Calistoga, California, con 132 punti. Tra i primi quattro solo uno era francese, il Mersault Chames Roulò 1973 con 126,5 punti.
I giudici erano sconvolti, e la sera successiva la degustazione prese molto più tempo, come se i degustatori volessero essere attenti a non ripetere errori. Ma anche nella degustazione dedicata ai rossi il risultato fu lo stesso, vinse il Cabernet Sauvignon 1973 di Stag’s Leaps Wine Cellar, con 127,5 punti contro i 126 del secondo in classifica, Chateau Mouton-Rotschild 1970. Questa volta fra i primi quattro, tre erano francesi, ma resta il fatto che il primo era un californiano. Questa è la classifica finale.
Le conseguenze della serata
Ora una bottiglia del Cab californiano è presente anche allo Smithsonian Institute, tra i 101 oggetti rappresentativi degli USA, insieme alla bussola di Lewis e al telefono di Bell. Qui potete leggere i quattro paragrafi che George Taber per il Time Magazine, (è un link del Wayback Web Archive) probabilmente responsabili anch’essi dei progressi del vino americano. Grazie a questi quattro paragrafi, la storia divenne famosa e tutto il mondo seppe che il dominio francese del vino era stato interrotto bruscamente. Il merito del Judgement of Paris, di Steven Spurrier e dell’articolo di Taber è stato aprire il mercato del vino anche a paesi fino ad allora considerati del tutto marginali. Oltre a Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica iniziarono ad essere cercate dai wine shop. La domanda che tutti si ponevano infatti era che, forse, se i vini americani potevano essere migliori di quelli francesi, allora poteva valere anche per altri. E i vini australiani, sudafricani, neozelandesi, cileni, italiani soprattutto, iniziarono a partecipare ai concorsi internazionali senza più sentirsi secondi a nessuno. Nei mercati e nelle liste dei vini pregiati, naturalmente i francesi sono presenti in massa, ma un tempo ci sarebbero stati solo loro.
Dopo il Judgement of Paris, Spurrier fu praticamente bandito dalle cantine dove una volta era un gradito ospite; fu accusato di aver umiliato la Francia. Anche molti dei giudici furono invitati a dimettersi da posizioni d’onore e riconoscimento, il risultato fu preso come un vero e proprio tradimento. Nel 1988 Spurrier lasciò Parigi e tornò nel Regno Unito, lavorando come consulente e come giornalista. È stato il fondatore nel 1982 e direttore del Wine Course presso la casa d’aste Christie’s. Ha lavorato come consulente del vino di Singapore Airlines e consulente per Decanter. Una sintesi della sua vita è stata raccontata da Eric Asimov in questo post. Alla fine il mondo del vino francese ha rivalutato Spurrier, che nel 1988 fu nominato Le Personalite de l’Annee per i suoi servizi al vino francese. Nel 2001 gli è stato conferito il Grand Prix de l’Academie Internationale du Vin e l’ultima edizione del suo libro di memorie è stata pubblicata nel 2020.
Spurrier ha ricevuto diversi premi internazionali per la scrittura del vino, tra cui Le Prix de Champagne Lanson e il Bunch Prize, entrambi per articoli pubblicati su Decanter. Su Club Enologique ha scritto il suo ultimo articolo, dove parlava di cosa beveva durante il lockdown.