Anche quando si parla di vino naturale non dovrebbe mai mancare almeno un accenno al vino sfuso.

Certo ci troviamo di fronte ad un prodotto che, per mantenere bassi i costi, necessita di lavorazioni semplici, di rese alte, di imbottigliamenti veloci.

Panoramica del vino sfuso

Considerate che uno sfuso quanto meno potabile, viene via al consumatore finale tra 1.20 €/litro per i bianchi e 1.60 €/litro per i rossi, almeno in media.

Si trovano anche a 0.80 €/litro o a 1.80 €/litro, come estremità della forbice per i bianchi, e 0,90 €/litro e 2,20 €/litro per i rossi.

Quelli di fascia bassa sono bevibili solo per un palato distratto, ma si fanno sicuramente sentire nell’intestino al momento della digestione; quelli di fascia più alta sono decisamente discreti, sempre considerando la tipologia di prodotto di cui stiamo parlando.

I numeri dello sfuso sono piuttosto importanti, nell’economia enologica italiana; non ci sono solo vini venduti in bag-in-box, ma anche quello che potete trovare in alcune buone enoteche o nei mercati di quartiere.

E’ soprattutto vino dei consorzi che, per non deprezzare troppo il vino imbottigliato a denominazione IGT o DOC, viene venduto sciolto ai rivenditori. 

Nei primi dieci mesi del 2012 (questi sono i dati che sono riuscito a trovare), l’export di vino sfuso ha prodotto 351milioni € di fatturato, per un totale di oltre 530mila ettolitri; questo lo porta ad un prezzo di 0.66€/litro, con un aumento rispetto al 2011 di 4 centesimi al litro.

Giusto per fare un confronto, nello stesso periodo l’export del vino imbottigliato ha prodotto quasi tre miliardi di € mentre gli spumanti 483 milioni. 

Si tenga inoltre presente che l’export, rispetto allo stesso periodo (gennaio-ottobre) dell’anno precedente (2011) è diminuito di circa il 21%, e nonostante questo il valore dello sfuso esportato è aumentato di quasi il 10%.

Mercato internazionale dello sfuso

Lo sfuso viene venduto soprattutto in Germania, producendo un terzo del fatturato; la Russia ha avuto un vero e proprio boom di importazione di sfuso italico nel 2011 ritornando ai normali livelli, attorno ai 100 milioni,  nel 2012.

L’Italia è anche un buon mercato per l’import di vino sfuso, in particolare dalla Spagna; ne importiamo oltre 1,8 milioni di hl (2012) per un valore di oltre 40 milioni di €, ma importiamo anche dagli USA circa 20 milioni di € di valore. Francia, Australia e Cile insieme non raggiungono i 5 milioni di hl. 

In totale l’import di vino sfuso rappresenta circa l’85% in volume dell’intero quantitativo di vino importato.

Questo vino sfuso ce lo ritroviamo spesso nei ristoranti, il tristemente noto Vino della Casa (…), nei mercati di quartiere o nelle enoteche, come dicevo più sopra, ma non ho dati specifici né per volumi né per valori.

I vini sfusi sono per lo più prodotti da piccoli contadini che, approfittando di rese da 180/220 q/ha, vendono le proprie uve ai consorzi o ad imbottigliatori privati.

Un venditore di vino sfuso al mercato rionale mi spiegava che il Verdicchio delle Colline di Jesi da lui venduto si produce presso uno stabilimento di Latina, dove arrivano le uve intere che poi vengono vinificate.

Sapori e odori improbabili e soprattutto largamente costruiti, ed è fuori di dubbio che, visto il sistema di produzione, possa essere altrimenti. Digeribilità praticamente nulla e mal di testa assicurato in particolare per chi ha problemi con la solforosa.

Vino sfuso naturale? Si può

Esistono però anche produttori che propongono, nei mercati rionali o dove si acquista direttamente dal contadino, i propri vini sia in forma sfusa in contenitori da 3 o 5 litri che imbottigliati.

Fra loro, l’Azienda Agricola Milana in località Colle Canino a Olevano Romano, storica zona vinicola nelle vicinanze della capitale. È qui dove la maggior parte dei romani  si recavano per acquistare il vino sfuso da imbottigliare a casa.

Il vino prodotto dall’azienda Milana è semplice ma certo non banale; non fosse altro per l’utilizzo, nel bianco, di uva ottonese, una varietà di bombino bianco che rischia di essere del tutto dimenticata e quindi scomparire. 

Produce Cesanese di Olevano Romano DOC ottenuto con la tecnica del governo alla toscana, ossia una seconda fermentazione innescata da mosto ottenuto da una parte delle uve lasciate appassire per qualche settimana.

4 pensiero su “Vino sfuso, due parole”
  1. Condivido le tue osservazioni, ma ritengo che con il passare del tempo la gente inizi a capire che il formato bag in box risulti sicuramente migliore di quello sfuso. Questo è quello che sto provando sulla mia pelle di sommelier e negoziante proprio nel settore del vino bag in box di qualità.

  2. Ciao Massimiliano, grazie del tuo passaggio nelle Storie del Vino.
    Non c’è dubbio che il contenitore bag-in-box sia migliore del vetro, soprattutto per il trasporto. Ma d’altra parte il vino nel BiB è per lo più vino ottenuto comprando uve provenienti da territori diversi, vinificate industrialmente. La stessa cosa vale ovviamente anche per molti vini imbottigliati, certo; proprio per questo ciò che importa è il contenuto, prima che il contenitore. La comodità di utilizzo non dovrebbe mai essere una alternativa alla qualità di quel che si beve o si mangia. Grazie del tuo contributo.

  3. il mio non è un commento ma una domanda;ho un negozio di vini sfusi alla spina.data la zona ,il più richiesto è il lambrusco. oggi mi sono imbottigliato il suddetto vino per uso personale in una bottiglia da 0.75 chiusa con tappo a corona e una volta aperto ,3 ore dopo, il vino risultava poco gasato,non produceva la sua tipica spuma. c’è un sistema per ovviare questo inconveniente?

    1. Beh, Cristiano, io non sono un produttore di vino, quindi prendi con le molle quel che ti dico. Il lambrusco di cui parli è frizzante, per questo fa la spuma. Quando lo metti in bottiglia, si sgasa. E’ come se tu aprissi una bottiglia di lambrusco, ne bevi un bicchiere e poi la tappi nuovamente. Quando la vai a riaprire, ecco che la spuma non c’è più. Spero di averti risposto, e grazie per essere passato qui su Storie del Vino.

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