
Sono ormai un paio di anni che la Spagna ha incrementato la propria produzione di vino, e sebbene non sia riuscita a ripetere le performance del 2013 di 45,7 milioni di ettolitri, si piazza in ogni caso per il 2014 a 37 milioni di hl.
Grazie ad aiuti comunitari per reimpiantare le vigne o per ristrutturazioni, il mercato del vino sta diventando fondamentale per la Spagna per uscire dalla crisi, puntando molto sul vino sfuso (vino a granel, in spagnolo).
L’Italia nel 2014 si attesta ad un’import di vino sfuso totale di 2,27 milioni/hl, per un valore di 116 milioni di euro; ben 84 di questi milioni (il 72% del totale) è di origine spagnola. A far due conti, lo compriamo a 0,51 €/l.
Anche la Francia importa vino sfuso dalla Spagna, quasi il doppio di noi italiani, per 161 milioni di €.
Ricordo che si parla di vino sfuso quando è trasportato in contenitori maggiori di 2 litri, con la sola tracciatura del porto di partenza e di quello di arrivo.
Ad ottobre del 2013 i rappresentanti delle cooperative del vino spagnolo hanno firmato un accordo di commercializzazione congiunta con lo scopo di vendere come vino sfuso almeno un quarto della loro produzione. L’azione si rivelava fondamentale, secondo i produttori, per l’esistenza stessa dei vigneti, che hanno stretto un accordo finanziario con la Caja rural del Sur e con la Sociedad Cooperativa Andaluza.

Tutto questo vino sfuso preoccupa la Coldiretti, che ha presentato i dati al Vinitaly a marzo di quest’anno. Al vino spagnolo vanno aggiunti i 472mila ettolitri di ‘bulk wine’ dagli USA ed i 100mila ettolitri dall’Australia.
Il consorzio ha puntato il dito soprattutto sui possibili intrecci con la criminalità in agricoltura e naturalmente sulle frodi che possono sussistere nella vendita del vino.
Interessante la richiesta di Coldiretti di rendere pubblici i nomi delle aziende che importano vino sfuso in Italia, elenco ad oggi coperto addirittura dal segreto di Stato sui flussi commerciali per motivi di riservatezza, e questa circostanza fa sorgere più di qualche dubbio sulla trasparenza della provenienza degli alimenti.
In Uruguay a gennaio del 2014 è stato costituito un consorzio, denominato Univit, fra sette piccoli e medi produttori che hanno messo a disposizione 20 vigneti da dedicare all’esportazione di vino sfuso verso la Russia.
Il prezzo medio di vendita si dovrebbe aggirare tra 0.30€/l e 0.35€/l, con l’obiettivo di esportare da 50mila a 100mila ettolitri di vino.
Il governo uruguagio ha dato la propria benedizione, considerando la Spagna il proprio principale concorrente.
Per poter spuntare questi prezzi, sarà compito dei venditori decidere il contenitore per il trasporto, mentre sarà lasciata al viticoltore la decisione di vendere il vino o direttamente le uve.