crocibianco1La degustazione dei vini di Massimiliano Croci vignaiolo di Castell’Arquato, mercoledì scorso a Les Vignerons, si inserisce perfettamente nella serie di articoli apparsi su molti siti sulla definizione di vini naturali.

Nel momento stesso in cui si cerca di dare una esatta caratterizzazione di questi vini, credo se ne perda il senso: il vino va bevuto, assaggiato e goduto; soprattutto bisogna ascoltare il produttore che ne parla rispondendo alle domande del colto e dell’inclita, sebbene ormai alle degustazioni organizzate da Antonio Marino, i partecipanti abbiano palati ben educati.

Oltre ad essere interessanti i suoi vini, sono state interessanti e piene di buon senso le sue parole, soprattutto quando ricordava i discorsi fatti con altri vignaioli della sua zona.

I parassiti, ci ha detto Massimiliano, a lui non hanno mai dato grossi problemi, nonostante non usi antiparassitari o altri veleni in vigna, mentre ai suoi colleghi si. Forse, ci spiega, la differenza sta nel fatto che tra una vite e l’altra nel suo vigneto cresce l’erba, e insetti e parassiti si fermano più volentieri lì. 

I caprioli, anche. Pericolosi per i vigneti, si arrampicano pure sopra i reticolati: “mio nonno non ha mai visto un capriolo, nel vigneto”, raconta. Altri vignaioli hanno avuto i vigneti danneggiati da questi animali, e lui stesso ne ha visti una decina aggirarsi attorno alle sue vigne. E i lupi che un tempo si mangiavano i caprioli? Non ce n’è più. Già.

O quando deve convincere la commissione della DOC ad accettare il proprio vino frizzante del 2010 quando tutti i vignaioli della zona portano già il 2011, perché il suo impiega anche un anno prima di prender la spuma. E vallo a far capire a chi decide di un vino con i manuali alla mano.

Quanto ha raccontato mi ha convinto ancor di più che la differenza tra un vino naturale ed uno industriale sia che nel primo il vignaiolo è alla ricerca continua dell’equilibrio.

Si può usare solforosa oppure no, usare rame e zolfo in vigna oppure no: un vignaiolo che voglia fare vino naturale cerca di mantenere al meglio la propria vigna senza utilizzare artifici chimici, e questo comporta poter fare del vino senza dover usare altra chimica per aggiungere, sottrarre, migliorare, aumentare, diminuire.

Ci vuole più tempo, sicuramente, più fatica, con più pericoli di errori. Ma anche qui è necessario il tempo, percrocigutt1 imparare a conoscere il comportamento delle proprie vigne e, infine, del proprio vino. 

Non è una definizione di vini naturali, questa, di quelle da mettere in un disciplinare. O forse lo è, ma è talmente semplice che non è vendibile al mercato, che invece vuole i vini moderni e tecnologicamente avanzati. Spesso, solo vini avanzati. Ma questa è la mia considerazione, e basta qui.

Massimiliano ci ha portato un bel campione dei propri vini.

Solo un suggerimento: nel fondamentale Vino al Vino di Mario Soldati, un bel capitolo è dedicato alle provincie di Piacenza, Parma, Modena e Bologna; un intero paragrafo parla proprio di Castell’Arquato, dove vivono i vigneti della Tenuta Vitivinicola Croci, e “da una Barbera e Bonarda di Borgo san Donnino cominciò forse la mia carriera di enologo dilettante. Celebrazione di vini della Val d’Arda nella tumultuosa cripta enologica di Italo Testa“. 

Forse qualche pagina di Mario Soldati dovremmo rileggercela tutti, noi che scriviamo di vino, prima di scrivere di vino.

Monterosso Val d’Arda 2010

Torbido, se lo si lascia fermo si schiarisce leggermente. I profumi dolci della Malvasia di Candia si liberano netti dal bicchiere, e man mano che l’ossigeno ed il vino si amalgamano viene fuori, lieve, il balsamico ed il vegetale. La nespola e la nocciola fanno da chiusura aromatica.

Si beve volentieri, non vuole essere importante ma piacevole, e riesce molto bene soprattutto con la freschezza della sua acidità e dell’alcol; una leggera astringenza ci ricorda la lunga permanenza sui lieviti.

DOC Colli Piacentini – Malvasia+Moscato 50%, Trebbiano 30%, Ortrugo, Sauvignon 20%

Lubigo 2010

Ortrugo in purezza, con un insieme di profumi davvero piacevole.

Dalla pesca alla nocciola, dal bosso alla quercia, la sua frizzantezza ricorda la scorza di limone legata agli aromi precedenti; alla bevuta è strepitoso nella sua semplicità, uno di quei vini che si bevono e basta, per togliere la sete o per accompagnare qualche bel piatto grasso della regione. Non ha muscoli da mostrare, piuttosto una ruvidezza popolana che si stempera con la conoscenza.

Vino Bianco – Ortrugo

Gutturnio

Il Gutturnio è un vino autarchico, un nome inventato probabilmente dal dottor Mario Prati del Consorzio Viticolo di Piacenza (sempre dal libro di Mario Soldati), ed ha la cadenza imperialfascista del nome maschio, a differenza dei vini che lo compongono, classicamente Barbera 60% e Bonarda 40%. Tre annate di questo vino, il ‘vino del posto’, come veniva chiamato un tempo, e diventato DOC tra le prime, nel 1967. 

Gutturnio 2010

Non si apre subito, a dispetto della tipica immediatezza di questo vino; necessita di una buona ossigenazione per far sentire i profumi intensi di mora e ciliegia biancona, ma appare ritroso, poco volentieroso ad esprimersi. 

Alla bocca si rende più gentile, la frizzantezza dovuta alla rifermentazione naturale in bottiglia lo rende di bevuta gradevole e fresca acidità ma, come scrive ancora Soldati, in quste zone “…il mangiare e il bere vino sono, qui, inestricabilmente e sacralmente congiunti”. 

Gutturnio 2008

Sinceramente non mi sarebbe mai venuto in mente di bere un Gutturnio di più di due anni, a dire il vero non avevo nemmeno idea che esistesse. Ed è bello doversi ricredere con il 2008 di Massimiliano Croci.

Qui è il vegetale ad essere portatore di aromi, accompagnando il dolciastro della nocciola ed la piccola frutta rossa. Più aperto e gentile del precedente, anche al palato la carbonica, che ancora è presente con buona forza, aiuta nella bevibilità insieme alla naturale freschezza di questo vino. Un leggero tannino rende la bevuta di sostanza, dando idea di voler essere accompagnato con piatti più importanti di carne.

Gutturnio 2007

Questa è stata una bella sorpresa; un naso evoluto, pronto, con mora e ribes in confettura a dare il benvenuto e lasciare poi il campo a lievi aromi terziari dovuti principalmente alla macerazione del lievito nella bottiglia, come caffè e cacao. Ripeto che gli aromi sono lievi, quindi non ci aspettiamo grandi esplosioni di profumi. Ma la pulizia di questi è indubbia. 

In bocca ha dalla sua la freschezza dovuta sia al rimanente della frizzantezza che alla indubbia acidità, in un buon equilibrio con la leggera tannicità, la concordanza tra naso e bocca è indubbia. Un vino da bere insieme a qualche insaccato ben grasso per quanto lascia il palato pulito ed equilibrato.

Monterosso d’Arda 2004

Non è un errore, è il vino iniziale ma di otto anni fa. Un produttore che porta in assaggio nel 2012 un vino frizzante (non uno spumante, attenzione, un vino frizzante) del 2004 è un vignaiolo che si presenta con tutta l’umiltà di un lavoro ben fatto.

La parte carbonica è praticamente non pervenuta, a fronte di una dolcezza maggiore rispetto al 2010 grazie al minore equilibrio con l’acidità. 

E’ forse non il vino con cui si possa tenere testa alla discussione con i produttori di vino industriale, certo, ma proprio perchè un vino del genere fatto diversamente sarebbe completamente imbevibile, che questo Monterosso d’Arda 2004 può ribaltare qualunque argomentazione.

Provateci voi, con le polverine, a fare un frizzante e berlo tra otto anni.

2 pensiero su “Tenuta Vitivinicola Croci a Les Vignerons”
  1. Attenzione Rolando ad utilizzare il termine polverine etc. che in questo periodo i sostenitori assidui dei marchi convenzionali hanno il dente avvelenato!!! 😉
    Comunque, abbiamo aperto 3 bottiglie di Monterosso 2004, 2 erano senza carbonica ma la terza invece c’era eccome, sorprendente!!!
    Aprire tre bottiglie della stessa annata e non trovarle uguali per molti è un difetto!!!

  2. Beh, se usano le polverine per davvero, non dovrebbero arrabbiarsi, a meno che non lo facciano di nascosto… 😉
    Per quel che riguarda le bottiglie, io purtroppo ho bevuto quella senza. E si, vero, bisogna essere omologati ormai, altrimenti non sei riconoscibile. Beh, ognuno fa del suo vino (e della propria vita) quel che vuole, basta che altri possano fare altrettanto. Ma a quanto sembra, uscire dal sentiero tracciato dal mercato è un crimine capitale. Vorrà dire che noialtri siamo anarchici, no? 🙂
    Grazie del passaggio qui

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