Francesco Hayez, Il Bacio, 1859 – Pinacoteca di Brera (Wikipedia)

La storia d’Italia passa anche per la vigna, il Risorgimento ed il vino sono strettamente legati.
Vigneti sono presenti in tutte le province della penisola e quando arrivò il XIX secolo, ed insieme il tempo per la creazione di uno stato completamente italiano, pochi illuminati proprietari terrieri preoccupati per i propri campi credettero completamente nel nuovo vento che stava spirando anche attraverso le loro colline e nei miglioramenti che avrebbero portato un po’ di modernità.
I due nemici mortali della vinicoltura moderna in Italia in quel periodo, erano l’oidio e gli Austriaci ed in tutta la nostra penisola la storia della viticoltura è intimamente legata a quella dei cambiamenti politici, e la vite fu usata anche come mezzo di propaganda, visto che lo stesso Garibaldi convinse i vignaioli a votare a favore dell’annessione argomentando che così avrebbero salvato le proprie vigne, almeno dagli Austriaci se non dall’oidio.
André Julien (1766-1832), tra i primi saggisti moderni di enologia,  all’inizio del XIX secolo scriveva che il suolo dell’Italia è rinomato per la sua fertilità e per le molte varietà di prodotti della terra, e passando dalle Alpi alla Sicilia si presentano tutte le tipologie di suolo e di esposizione solare, dappertutto favorevoli alla vigna.

Purtroppo, aggiunge lo storico, gli Italiani non curavano molto il lavoro nel vigneto, preferendo una crescita quasi spontanea, senza preoccuparsi di ricercare la perfetta maturità del frutto e quindi la qualità del vino, mentre al contrario in Francia si aveva già da molto tempo una grande conoscenza della vigna e della produzione del vino, con tecniche avanzate.

Arretratezza della viticoltura italiana prima del Risorgimento

I vini italiani del XVIII secolo erano per la maggior parte dolci ed allo stesso tempo aspri, spesso grossolani, e sopportavano male sia i viaggi che il passare del tempo; in Francia si usavano già da tempo le bottiglie di vetro per il vino, mentre in Italia si era rimasti ancora al classico fiasco impagliato, con mezzo dito d’olio in superfice per non far prendere aria al vino ed un cappuccio di paglia o di foglie come tappo.
Insomma, la qualità non eccelsa dei vini italiani, almeno per i canoni francesi, dipendeva sia dalla negligenza nel lavoro in vigna che dalle procedure impiegate per la vinificazione, come lasciar crescere cereali e fagioli ai piedi delle colline vinicole, un metodo usato fin dai tempi di Plinio e, a quanto pare, rimasto identico fino all’epoca di Napoleone Bonaparte.
Lo stesso Jules Guyot (1807-1872), inventore del moderno metodo di impianto in vigna, sottolineava che in questo modo si perdeva fino a tre quarti del raccolto.
L’Italia enologica, e non solo, era rimasta indietro di duecento anni mentre il mondo tutto intorno stava andando verso la modernità. (A volte sembra proprio che la storia si ripeta, ma quando accade è una tragedia.)
I contadini, del resto, erano poco interessati a migliorare le rese e la qualità del loro prodotto, a causa soprattutto dei soldati austriaci che arrivavano depredando tutto quel che trovavano nei campi, e dei signorotti locali che imponevano un vessatorio e feudale sistema d’imposta. Cosa poteva importare al contadino, una volta che riusciva a tenere per se quanto bastava per sopravvivere?
Queste furono anche le conclusioni di un altro wine writer dell’epoca, l’americano Cyrus Redding (1785-1870), che durante un suo viaggio in Italia in cui raccontava i primi moti carbonari contro i sovrani restauratori,  si rendeva anche conto del disastroso stato dell’agricoltura in generale, e della coltivazione della vite in particolare, in cui versavano le campagne italiane.

Il vino risorgimentale

Certo, queste considerazioni erano a loro modo in parte strumentali, cercando di convincere gli agricoltori ed i vignaioli della penisola a rendersi conto che la frammentazione della terra, l’imposizione di tasse assurde, l’arretratezza culturale, erano un freno alle loro stesse possibilità di ricchezza.

Faceva gioco, alla Francia e all’Inghilterra, usare ogni mezzo per far sollevare l’Italia contro l’Austria, ultimo simbolo dell’Ancient Regime.
I mercati del nord Europa avevano stimolato la viticoltura di Spagna e Portogallo, migliorando il commercio con l’estero anche di altri beni, ricevendo in cambio del loro vino prodotti manufatturieri delle moderne aziende francesi, inglesi ed americane.
Già Goethe, mezzo secolo addietro, aveva individuato uno dei problemi nell’arretratezza dei mercati italiani, con gli agricoltori completamente in balìa dei signorotti locali che “negli anni cattivi pretendevano denaro dai contadini per consentire loro il diritto di rimanere nelle terre, mentre negli anni buoni acquistavano il vino per quasi niente“.
La situazione dell’Italia non solo agricola, prima del Risorgimento, era veramente pessima.

(articolo già pubblicato il 30 Novembre 2011 – 1 di 3)

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