Malattie e parassiti della vite sono, insieme ai cinghiali, uno dei più grossi problemi contro cui un produttore di vino è chiamato a combattere. Incroci, innesti e tecnologie genetiche possono essere uno strumento in più per creare vitigni resistenti a malattie come oidio e peronospera.

Nel 2017 sono stati iscritti al Registro Nazionale delle varietà di Vite ben dieci nuovi vitigni, cinque a bacca rossa e cinque a bacca bianca. Sono nati grazie alle ricerche dell’Università di Udine e dell’Istituto di Genomica di Udine, utilizzando come base Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon e Tocai.

Nuovi vitigni

Insieme ai Vivai Cooperativi di Rauscedo, dal Tocai sono stati ottenuti i nuovi Fleurtal e Soreli, particolarmente resistenti proprio a oidio e peronospera. Entrambi sono già nel percorso per consentire la coltivazione, percorso particolarmente arduo visto che richiede l’autorizzazione di 19 regioni e 2 provincie autonome.

Per ottenerli è stata utilizzata la tecnologia genetica della cisgenesi, ossia l’introduzione di un gene della stessa specie di partenza, quindi Tocai.

La vite si presta bene agli innesti, che possono essere anche completamente naturali e non necessariamente genetici; nell’800 la fillossera distrusse quasi completamente il patrimonio ampelografico europeo, che si salvò solo grazie all’innesto con piedi di vite americana. Altre tipologie di vite incrociata sono ad esempio il Muller Thurgau, creato a partire da Riesling e Sylvaner; la stessa natura ha provveduto alla creazione di nuove varietà che oggi risultano classiche.

È il caso del Sangiovese, con le sue varietà di Brunello e Sangiovese piccolo, o la Vernaccia, una delle varietà di cui fa parte la Grenache ed il Cannonau. Naturalmente, ognuna ha le sue peculiarità, grazie alle mutazioni genetiche indotte dalle condizioni ambientali nei secoli.

Incroci naturali della vite

Ed inoltre non bisogna dimenticare i cambiamenti climatici, che stanno ad esempio modificando le latitudini in cui crescono alcune tipologie di uve. Con l’aumentare delle temperature, i vini di montagna delle latitudini meridionali diventeranno sempre più interessanti, come sta avvenendo in Sicilia ed in Liguria. Questo può essere di aiuto soprattutto per le piccole cantine, piuttosto che per quelle più grandi. La divisione tra grandi e piccoli produttori di vino è stata trattata anche in questo post.

Quindi, modificare una vite utilizzando geni di altre viti, o della stessa varietà, non è del tutto diverso. Semplicemente, si utilizzano le competenze e gli studi di quasi due secoli di genetica per migliorare alcune caratteristiche, come appunto la resistenza a malattie e parassiti.

Questo significa eliminare o ridurre l’uso di diserbanti chimici, migliorando così le condizioni ambientali e del terreno, evitando di irrigare ed in generale avere uve più sane da portare in cantina.

Evitando, o riducendo, il numero di trattamenti si evita anche di usare macchinari come i trattori, che rovinano i percorsi tra i filari; questo consentirà perciò di incentivare le pratiche di inerbimento, ossia la crescita di erbe spontanee tra i filari.

Naturalmente, il pericolo è sempre dietro l’angolo, visto che con le tecniche genetiche si può fare, quasi, qualunque cosa. Poiché però queste pratiche vengono controllate e testate, e passano per un seppur lungo percorso di autorizzazioni, i pericoli di manipolazioni truffaldine sono mitigati. Molti più danni fanno le etichette poco chiare, se non proprio truffaldine, su bottiglie di vino da poco prezzo e spesso destinato alla vendita oltre confine.

L’aumento indiscriminato delle rese, l’aumento delle aree coltivabili a vite, pratiche di cantina poco chiare, sono a mio avviso molto più dannose, per il buon nome del vino italiano e della salute dei consumatori, che non tecniche di innesto, genetiche o meno, effettuate da centri di ricerca e Università.

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