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Gli errori nel marketing della wine industry

marketing della wine industry

Continuiamo a vedere come il marketing della wine industry si sta muovendo, e quali errori ci siano nei confronti delle generazioni più giovani. Questo è praticamente la continuazione del post precedente che potete leggere qui,

Lo spunto mi viene sia da SevenFifty che dal report della Silicon Valley Bank, a cui l’industria del vino guarda sempre con attenzione. Sarebbe bello se anche qui in Italia, ossia il primo produttore di vino del mondo, ci fosse la stessa attenzione al mercato interno. D’altra parte io più che continuare a parlarne, non posso di certo fare.

Report da studiare della SVB

Iniziamo proprio dal report di SVB, la sintesi potete leggerla qui; il fatto più importante, semplificando al massimo, è che sono i wine lovers degli anni ’60 a comprare molto vino; quelli cioè che possono permettersi i vini premium, quelli che fanno il grosso del valore. Torniamo allora al problema demografico di qui parlavo nel post precedente, e soprattutto a quello che dovrebbe fare il marketing della wine industry. Il report lo metterò anche nella newsletter. Ma questo è appunto solo un rapporto, una fotografia dei dati e dei trend; una bella analisi la fa proprio Tina Caputo su SevenFifty Daily.

Leggendo già le prime righe del post è chiaro che l’industria del vino ha un problema con le giovani generazioni. È come se l’unico consumatore di riferimento sia l’esponente dei baby boomers, chi oggi ha dai 60 ai 70 anni insomma. Il linguaggio, la struttura dei vini, il prezzo, sono tutti orientati per compiacere questo segmento di wine lovers. Il problema che c’era con la X Generations negli anni ’90, oggi c’è con i Millennials, e scusate se uso anche io queste terminologie.

Demografia e costo: unici ostacoli per i Millennials?

E che il vino sia un prodotto per gli anni più avanzati lo prova il fatto che i giovani degli anni ’90, che bevevano poco vino, ora ne bevono di più, invecchiando.

Un motivo per lo scarso appeal dei più giovani nei confronti del vino, scrive Tina Caputo, potrebbe essere l’aumento del numero delle piccole cantine. I prezzi medi delle loro bottiglie sono più alti rispetto a 25 anni fa, e questo porta i giovani fuori dai giochi. Inoltre gli altri beverage, come birre e sidro, costano molto meno del vino, e quindi sono quelli preferiti per gli aperitivi settimanali. Non è però solo un problema di prezzo, ma anche di linguaggio, di comunicazione.



Innanzitutto birre e altri drink hanno packaging molto più accattivanti per i giovani; come scrivevo nel post precedente, anno di vendemmia, struttura, profumi, non sono i parametri che i giovani cercano nel vino. Il vino insomma viene visto ancora come un prodotto di elite, considerando anche la poca propensione di spesa delle nuove generazioni.

Un nuovo marketing per la Wine Industry è necessario

Secondo fatto, il marketing dell’industria del vino è molto poco attenta agli interessi dei più giovani, inclusione, ambiente, risparmio energetico. Tutti argomenti a cui invece i produttori di drinks sono molto interessati. Le lattine al posto del vetro, le etichette colorate e nuove ogni volta, l’inclusione tra le etnie, argomento molto sentito negli USA; tutti linguaggi che i giovani apprezzano, al contrario dei loro padri. Il marketing lo sa e ne approfitta: ipocrita? Si, ma è il marketing, bellezza.

In realtà non è il vino in se, ad essere un prodotto vecchio, ma lo è il modo in cui viene proposto. Tradizione e storia, pur importanti, non sono la caratteristica principale cercata dalle nuove generazioni in un drink; la sostenibilità ambientale e il packaging lo sono molto di più. Il marketing della wine industry quindi dovrebbe iniziare ad adeguarsi, le aziende vinicole dovrebbero iniziare ad adeguarsi. Il problema per ora lo hanno negli USA, mentre qui nel Vecchio Continente non ci sono dati disponibili. Ecco, forse iniziare da qui non sarebbe male.

Photo by Brooke Cagle on Unsplash

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